Cerca nel blog

giovedì 21 marzo 2013

Letture - 131

letterautore

Copyright - Il diritto d’autore, appena nato e codificato (garantito), viene vanificato dalla rete, la liberissima circolazione di idee e testi – nonché da google books e altre iniziative bemerite di biblioteconomia pubblica. È una danno? C’è chi dice di no (Tim Parks sul “Sole” domenica): ci libererà da molto rigaggio che circola, e anzi viene promosso e propagandato, perché paga ottimi diritti – a quelli dell’autore si legano quelli dell’editore. Di autori che sempre più sono prestanome (prodotti) editoriali. Ma inn termini di qualità della lettura si può dire pure il contrario: l’autoedizione e i blog liberi, forme autoriali in assenza di copyright, di diritti d’esclusiva, non migliorano l’offerta di lettura e anzi la peggiorano. Anche se senza lucro. Mentre l’organizzazione del copyright, con i diritti difesi coi denti da ogni avente diritto, compreso l’editore in esclusiva, costringe a un minimo di selezione. E anche, per tenere viva la memoria nei settanta anni dalla morte del’autore, a promuovere letture critiche. Non è il diritto che protegge (sceglie, difende) la letteratura.

D’Annunzio – Lucy Hughes-Hallett apre “The Pike”, la biografia inglese del centocinquantenario, con D’Annunzio a Roma nel 1881, ragazzo prodigio, con due apprezzate raccolte di poesia a 17 anni, riccioluto, e quindi, nella complessione minuta, faunesco. Quello che D’Annunzio fu, prima che politicante, e superomista di se stesso – benché a spese di Nietzsche. Un poeta le cui parole e la cui voce a lungo incanteranno l’Europa di Fine Secolo. Le donne – la biografa ne ricorda alcune: Ida Rubinstein, Isadora Duncan, le aristocratiche di Roma e Parigi. E gli uomini, di qualità: Harold Nicholson, James (“Temi e finezza straordinari”), Joyce (uno dei “tre più talentuosi scrittori” del tardo Ottocento, con Kipling e Tolstòj, e il solo scrittore europeo ad avere aperto spazi nuovi alla narrativa dopo Flaubert).

Dante – La “Commedia” Walter Siti dice “un instant book”. Questa mancava.
Pasolini non ne sarebbe stato contento, ma l’editoria lo classificherebbe oggi così – con l’eternità in un istante e analoghe infiorettature.

Gelosia - “Bach, nato in Germania, fu educato a Napoli”, è l’esordio di Stendhal musicologo: “Lo si ama per la dolcezza delle sue composizioni. La musica del duetto «Se mai più sarò geloso» figurerebbe con vantaggio fra quelle dei migliori maestri….”. Bach è Johann Christian, “Giovannino”.

Machiavelli – Fu pluralista – non nel senso corrente, politico, del termine, ma dell’etica, dei fini ultimi.
Per il cinquantenario della nascita della rivista, la “New York Review of books” riedita alcuni dei suoi migliori articoli. Quello del 7 marzo è un estratto di un saggio che Isaiah Berlin pubblicò nel numero del 4 novembre 1971, come ”supplemento speciale”, un testo di una cinquantina di cartelle, “The question of Machiavelli” – pubblicato in una prima redazione, “The Originality of Machiavelli” due anni prima, e poi ripreso nella raccolta “Controcorrente”. Il titolo Berlin deriva da Croce, che aveva concluso il suo lungo saggio dicendo che la questione di Machiavelli è una che resterà sempre aperta. Berlin fa sua la questione sin dalle prime righe: il “Principe” e i “Discorsi” sono”singolarmente lucidi, succinti, e pungenti”, singolarmente per dei trattati politici, “di non eccessiva lunghezza ma ugualmente chiari e definiti”. Qual è allora la difficoltà in cui tutti i commentatori si trovano di definire Machiavelli? Nel suo pluralismo (una conclusione analizzata in dettaglio da Giuliano Manselli, “Isaiah Berlin e lo scioccante pluralismo di Machiavelli”, in A.Arienzo-G.Borrelli, a cura di, “Anglo-American faces of Machiavelli”, 2009, pp. 457-485): “L’esito cardinale di Machiavelli è la sua esposizione in un dilemma insolubile, la semina di un punto interrogativo permanente nel sentiero della posterità. Il riconoscimento de facto che dei fini ugualmente ultimi, ugualmente sacri, possono contraddirsi l’uno con l’altro, che interi sistemi di valori possono entrare in collisione senza possibilità di arbitraggio razionale, e questo non soltanto in circostanze eccezionali – lo scontro di Antigone e Cleone o nella storia di Tristano – ma (questo era sicuramente una novità) come parte della normale situazione umana”..

Pinocchio – Ma non è il racconto della paternità senza madre, un secolo e mezzo prima? Si risolverebbe così il quesito che a lungo ha angustiato gli amanti di “Pinocchio”, Calvino per esempio. Che Paolo Fabbri, il semiologo più acuto che il burattino ha avuto, evidenzia in “un certo «mitismo», cioè la capacità di essere tradotto sostenendo tutte le trasformazioni e mantenendo comunque la propria identità”. Una dote unica, sostiene Fabbri, ma senza saperla spiegare: “Ci sono opere in cui la variazione di parti provoca un'alterazione irreversibile. «Pinocchio» invece resiste alla traduzione linguistica e semiotica, alla trasformazione semantica e al tradimento”. Ma perché resiste, qual è il segreto?
Vari “segreti” sono stati individuati. Pinocchio è metamorfico – anche incoerente: ora obbediente ora disobbediente, ora generoso ora di legno, ora animale ora umano. E sempre incompleto, la “cosa” vegetale che sempre ributta. Questo è l’aspetto che ha incuriosito Manganelli, “Pinocchio, un libro parallelo” (Manganelli fu padre ma si rifiutò in quanto tale, volendo essere lui il bambino): i carabinieri vogliono prendere Pinocchio per le orecchie ma Geppetto s’è dimenticato di fargliele, Pinocchio si vuole mettere le mani nei capelli, ma non sono stati finiti, si brucia i piedi e Geppetto glieli rifà, si riveste in mare con un  sacco dei lupini….
Morfologicamente, e quindi narrativamente, Pinocchio è variabile. Sembrerebbe ovvio, essendo il lungo racconto scritto a puntate sul giornale. Ma cambia (sorprende) ogni paio di pagine.  Dunque beneficia dell’incoerenza. E in questa incoerenza si possono classificare tutte le variabili. L’ambivalenza è soprattutto variata per la figura femminile, la Fata Turchina, che è anzi polivalente:  ora fidanzata, ora madre, ora taumaturga – trasformerà il burattino in bambino.
La paternità senza madre potrebbe essere la chiave della resilience di Pinocchio, della sua irriducibilità (“alla traduzione linguistica e semiotica” di Fabbri, “alla trasformazione semantica e al tradimento”).  È la versione, non detta ma percepibile, e più dai bambini, dell’ultimo “Pinocchio” al cinema, il cartone animato di D’Alò e Marino, e la chiave del successo di pubblico, pur in assenza di effetti speciali e grandiloquenze. Gli autori del soggetto e della sceneggiatura, D’Alò e Umberto Marino, hanno puntato sul solo rapporto tra Pinocchio e il padre, il resto è tutto umori passeggeri, i cattivi compagni, i carabinieri e il giudice, il gatto e la volpe, Mangiafuoco, Lucignolo, la stessa balena-pescecane, e la Fata Turchina.

Siciliano - Andrea Camilleri lo ripropone come lingua nell’ultimo romanzo storico, “La rivoluzione della luna”. Come lingua viva cioè, non più come sottolineatura provinciale, locale, di racconti italiani – Montalbano è quello della televisione, di Degli Esposti e Alberto Sironi, dove il dialetto è caratterizzazione, quella in uso tra i comici. In mistilinguisimo peraltro con lo spagnolo, quasi mai con l’italiano. Con citazioni di Antonio Veneziano non più come poeta vernacolare  ma come poeta in lingua.
Considerato che ”La rivoluzione della luna” in tre giorni ha scalato la classifica dei libri più venduti, il siciliano come lingua può dirsi anche una pretesa fondata. I siculofoni  sono cinque milioni – sette con i calabrofoni, parlanti affini – e quindi una platea più vasta che per il sardo (le varie lingue sarde), l’olandese, il fiammingo, gli ugrofinnici o i parlanti scandinavi. In poesia la tradizione è peraltro sempre stata sostanziosa, e non riguardata come vernacolo.
In rapporto alle altre lingue minori il siciliano non si fonderebbe su radicali differenziazioni:  linguistiche, oppure religiose e dinastiche come per le lingue germaniche. Il siciliano è un dialetto latino, e quindi poco discosto dall’italiano. Ma come tradizione e mercato potrebbe configurarsi in Italia come il catalano in Spagna, in rapporto al castigliano.

letterautore@antiit.eu

Nessun commento: