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lunedì 29 aprile 2013

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (169)

Giuseppe Leuzzi

L’industria dei commissariamenti
La ministra Cancellieri è ritenuta in Calabria una “nemica della Calabria”. Non dalla destra, dalla sinistra, “L’Ora”, “Il Quotidiano”. Una che non  sostiene i sindaci antimafia, ma li tratta da mafiosi. Soprattutto applicandosi a scioglierne i consigli comunali, magari appena eletti, per mafia. Non per pregiudizio, la ministra è buona cattolica. Perché questa è la cultura dello Stato, di cui la ministra è un pilastro. Contro Reggio Calabria, in effetti, si è applicata col piccone a smantellarne la giunta comunale appena eletta – non un momento prima delle elezioni: un anno e mezzo di superstipendi per tre vice-prefetti, con la città ai loro piedi, un comprensorio ormai di trecentomila persone.
L’industria dei commissariamenti, perché no? In questo stato anche questo è possibile: i funzionari del  ministero dell’Interno che commissariano per i più diversi motivi più Comuni possibili, e poi si fanno un anno-due strapagati, e omaggiati come possenti autorità. Sull’antimafia ogni arbitrio è possibile: per “mafia” tutto si può sciogliere, senza bisogno di dimostrare nulla - “basta la parola”, come per il purgante. Non è molto che lo stesso ministero gestiva ad arbitrio il confino di polizia, una misura restrittiva senza alcun giudizio a fondamento.
La stessa Cancellieri è diventata ministra dopo aver gestito Bologna in qualità di commissario. Ma lì il commissariamento a Bologna era necessitato, essendosi dimesso il sindaco, non era stato disposto d’autorità dallo stesso ministero dell’Interno.

Siamo del toro
Gli scavi di punta Zambrone, tra Vibo e Tropea, confermano quello che si sapeva, se non altro per la toponomastica legata al Toro della confinante piana di Gioia Tauro: che prima degli italioti, altri greci c’erano anche nella parte tirrenica della futura Magna Grecia, i micenei. Gli scavi, a opera delle università di Napoli, “Federico II”, e di Salisburgo, hanno portato alla luce, dice la relazione, “oltre a una grande quantità d manufatti locali, numerosi frammenti di ceramiche micenee tornite e dipinte, prodotte in Grecia e importate via mare nei decenni intorno al 1200 a.C.” E “un unicum per l’Italia e il mediterraneo occidentale”. Una statuetta in avorio è “la più antica rappresentazione della figura umana con caratteri naturalistici”, un’opera d’arte più che decorativa, “realizzata secondo i canoni della civiltà minoica (XVII-XV secolo a.C.)”.

La testa del toro, girata di un quarto sulla destra, divenne la lettera alfa, Lacan spiega, “Di un discorso che non sarebbe quello del sembiante” (1971, lezione V, 10 marzo). Ma così la considera la glottologia ebraica: il geroglifico testa del toro diventa in fenicio א (aleph), quindi in greco alpha, e infine l’A maiuscola latina. In tutte le raffigurazioni letterali sarebbe riconoscibile la testa del toro, sepure talvolta girati, di 180 o 90 gradi, di qua o di là.
Il tutto viene collegato alle rappresentazioni protosinaiche del Toro, in quanto forza e generazione – la prima lettera perché simboleggia l’“origine” (successivamente, in “senso acquisito e memorizzato”, dice la glottologia, è anche “principe” e “insegnare”.

Il toro, nella tante tavole simboliche, di ogni civiltà, di Jean Chevalier, ricorre come simbolo della fecondità. Ma di più nella civiltà greca, in quella specificamente micenea. Jean Chevalier, Dizioanrio dei simboli”. Lo studioso dei simboli ne rintraccia diverse genesi: le più costanti sono quella dell’opposizione (una cosa che è il suo contrario) e quella della catena. Per cui i simboli si susseguono per una certa affinità, per quanto poco logica, o razionale, o causale: che può essere la somiglianza, la contiguità, spaziale o temporale, l’associazione d’idee, la parentela, la simpatia, le corrispondenze, le analogie, l’associazione libera freudiana (inconscio). Tra le catene di Chevalier, quella “toro-luna-notte-fecondità-sangue-seme-morte-resurrezione-ciclo, etc.” e quella “fulmine-nuvole-pioggia-toro-fecondità etc.”.

La grande divinità femminile del pantheon miceneo era la Madre Terra. Cioè la dea Demetra (Locri), la madre di Persefone, il culto prevalente fino agli inizi del primo millennio a.C., poi trasferito nel primo capoluogo conosciuto – dopo Napoli - della Magna Grecia “classica”.

Milano
Ballerine come libellule, che si librano sullo sfondo della Galleria, il “Corriere della sera” e Giuseppe Genna scelgono per un lirico ritratto al centro della prima pagina di Milano che si apre alla Fiera del mobile. Era giorni in cui la città era più triste del consueto, per il maltempo fuori stagione. Ma è vero che i treni che da Roma, Torino e Venezia affluivano a Milano pullulavano di gente col sorriso all’idea del Mobile. L’immagine fa tutto, anche la (cattiva) coscienza.

Venerdì la città si spopola all’una. Del pomeriggio. Anche con la crisi. Questo è segno di forza, di positiva resilience. Ma la città sembra allora anche fisicamente quella che è, una città di nessuno. Non un carattere, nessuna cifra d’identificazione, una personalità. La Signorina Solfanelli di Bontempelli era efficiente, ma ora? C’è anima nei quartieri “poveri”. Di immigrati. I milanesi veri, quelli ricchi, non amano nemmeno se stessi.

Sant’Ambrogio individua nella donna il fomite del peccato, la teoria del peccato originale che poi farà testo. Sula base di un accenno di san Gerolamo. Non per altra ragione che il “garbo femminile”.
È questa, una spiegazione tutta bonaria e, vorremmo dire, milanese”, commenta Antonello Gerbi, nelle vesti di studioso del peccato originale: “Adamo mangiò anche lui pro bono pacis coniugalis, per far piacere alla consorte, per non stare a «piantar grane»…. L’anatema sfuma in un sorriso d’ambrosiana indulgenza”.

Nonché il peccato originale, Milano vuole anche l’avvenenza. L’ultima illustrazione a corredo de “Il peccato di Adamo e Eva”, del padre Antonello, l’“Eva” di Cristoforo Solari, una statua del Museo del Duomo, Sandro Gerbi propone di chiamarla “l’Eva di Milano” – questa bella Eva, sensuale e malinconica, sospirosa e domestica”.

Il sindaco Pisapia indice una gara pubblica per il posto di sovrintendente della Scala: “Inviate il curriculum”. Quando si sa che la scelta invece sarà fatta dalla Fondazione, senza concorso. Niente di male, un po’ d’ipocrisia ci vuole in politica – lo vuole la “comunicazione”, la pubblicità è l’anima del commercio, etc.. Ma se il bando l’avesse fatto il sindaco di Palermo per il Massimo?

Ha un grande regista di cinema, Marco Ferreri, geniale – non c’è altra parola. Lo ha dimenticato. Poteva avere un grande drammaturgo comico Maurizio Nichetti, l’ha obliterato.

“Centro-sinistra” è l’insulto alla Scala nel 1962 alla prima di “Passaggio”, opera indigesta di Luciano Berio e Edoardo Sanguineti.

Pietro Verri, “Orazione panegirica sulla giurisprudenza milanese”, 1763: “Sogliono le altre nazioni d’Europa avere dei giudici dipendenti dalla legge. Col nuovo codice si pone per fondamento, nel Milanese, un corpo di giudici padroni della legge”.

I lombardi sono ovunque al Sud, nella toponomastica, compresi Galdo, Lauria, Laino Borgo, Mormanno, Alemanni e Lombardi vari,  e nell’onomastica. Il cognome Lombardo, uno dei più diffusi in Calabria e in Sicilia, ricorre probabilmente più che in Lombardia. L’invasione c’era già da tempo? In effetti, risultano già alla Prima Crociata. E anzi prima, se sono ancora loro nel coro del “Nabucco” che si vorrebbe a inno nazionale.
I brav’uomini si sono pervertiti per colpa del Sud?

leuzzi@antiit.eu

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