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mercoledì 1 maggio 2013

Quando l’agente segreto Saya sfidava Andreotti


Così si presentava lo Stato-mafia quindici anni fa:
“Si dovrà processare un Saya, nome molto siciliano, per millantato credito. Una quisquilia a margine del processo contro Andreotti per mafia, ma forse non senza conseguenze. È stato testimone d’accusa contro l’ex presidente del consiglio, dicendosi agente segreto di un Sismi “parallelo”, e il presidente del Tribunale Ingargiola, che ne fu  impressionato, ora potrebbe ricordarsene sgradeolmente. In aula l’agente segreto sostenne si avere marchiato sulla pelle il simbolo della massoneria, e il presidente volle vedere il tatuaggio. Chiuse per questo le porte. Saya si denudò e sotto l’ascella mostrò il tatuaggio: un compasso su una squadra, con al entro una «G»”. Che disse essere la G di gnos. Gnosi? No, un codice di riconoscimento Nato, rispose.
“I tre pubblici ministeri al processo, Guido Lo Forte, Gioacchino Natoli e Roberto Scarpinato, lo avevano valutato attendibile soprattutto perché di lui parlava un altro teste. Anche questo volontario. Una donna, una signora, Lia Bronzi, che si definiva “grado 33” e “gran commendatore del rito del sovrano consiglio femminile”. La signora aveva riferito che a “una cena Agape”, tra fratelli massoni, uno disse che Andreotti era massone. I pubblici ministeri l’avevano spronata a dire chi aveva collegato Andreotti alla massoneria. Anche in dibattimento. Il presidente Ingargiola aveva insistito, l’aveva anche lui spronata. E la signora aveva fatto il nome: Saya.
“Ora questo Saya pare che non sia stato una spia. Forse massone. I pubblici ministeri gli avevano creduto perché, oltre che la signora massona, aveva presentato una “documentazione ineccepibile” (Scarpinato): una corrispondenza con Licio Gelli a proposito della “Lega Meridionale” che nel 1989 lo stesso Saya aveva costituito, una foto con un massone della loggia Scontrino di Trapani, che annoverava dei mafiosi, e la tessera di un circolo ricreativo Nato.
“Saya aveva impressionato gli inquirenti anche perché “conosceva” il generale Santovito, il capo del Sismi poi defunto. Così diceva: “Santovito mi disse che Dalla Chiesa era venuto a conoscenza di segreti terribili e scottanti che gli potevano costare la vita”.

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