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lunedì 29 aprile 2013

Simenon realista, senza fantasia

È qui che Simenon ha l’idea per la quale è più celebre, delle diecimila donne - di certificare la solitudine sotto il pretesto adolescenziale di rifare il catalogo dongiovannesco: il malinconico in forma di cinico, disincantato, che si fa di proposito ogni giorno una donna diversa, quindi diecimila in un’età adulta media. Nelle solitudini fredde della vita sovietica, fin nel letto. Una società naturalmente orwelliana, senza l’ideologia, già nel 1933. Contro tutti i fattori naturali: in una cittadina di provincia, remota, cosmopolita, di mare, di frontiera, di nazionalità miste.
Un romanzo subito famoso, con una pre-pubblicazione sulla rivista “Les Annales”, 1 settembre-13 ottobre 1933, e subito dimenticato. Con una prefazione eccezionale di Simenon, che non ne fa per principio –“come ogni altro oggetto, un romanzo è riuscito oppure fallito”. Qui fa eccezione per dire: ”La gente di fronte (titolo originario, n.d.r.) esiste, tutta, senza eccezioni”. La prova? “Non sono mai stato capace d’inventare un personaggio, né una scena, neppure un’avventura”.
Non è Kafka, come dice Parise in una recensione che ha segnato il successo infine di Simenon in Italia. È un romanzo sulla Ghepeù nel 1933, nell’Urss ancora senza purghe ma già senza kulaki, dove tutti spiano e sono spiati. Poi si dice: non sapevamo. Calasso ne fa grande caso nel suo libro di ricordi editoriali, “L’impronta dell’editore”, come segno della propria preveggenza e del coraggio, nel 1985, non un secolo fa, di avviare con questo romanzo la riproposta di Simenon. Ma il libro si legge anche ora che “la più potete, importante e demiurgica dittatura poliziesca che l’uomo moderno abbia conosciuto” (Parise) è svanita. È una storia d’amore impossibile. Freddo anche. A Batum, porto petrolifero. Dove le navi e le petroliere sono ancora italiane, e il console italiano è al centro della comunità diplomatica, che forma col console turco e quello persiano.
Georges Simenon, Le finestre di fronte

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