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lunedì 28 ottobre 2013

Secondi pensieri - 154

zeulig

Ateismo – “E se Dio e il diavolo fossero atei?”: il quesito di Antonio Veneziani non è solo irrispettoso, come di può supporre del poeta burlesco, l’ateismo è una professione di fede.

Fondamentalismo – È (si può dire) l’ateismo più radicale. Il fondamentalismo, riportando la religione alla distruzione, ripropone l’inaccettabilità del messianismo, della rivelazione esclusiva – non del monoteismo in sé, ma di quello che si vuole esclusivo perché “opera” di un profeta. Finisce per escludere dal sentimento religioso, che è riconoscimento e riconoscenza di e a Dio, proprio i monoteismi più rigidi. 

Guerra – In greco è maschile , polemos. È di tutte le cose “grandi” è padre e non madre. È maschilista l’Eraclito bellicoso, è patriarcale e dominatore, e non mistero generativo: “Polemos di tutte le cose è padre”, nella traduzione di Giorgio Colli, “di tutto poi è re;  gli uni manifesta come dei, gli altri invece come uomini; gli uni fa esistere come schiavi, gli altri invece come liberi”.

Memoria – La figura di Adriano Olivetti non è ancora arrivata sullo schermo che tutti quelli che vi hanno contribuito già ne danno una lettura diversa. Non si sa fino a che punto il personal computer fosse stato elaborato da Olivetti, e sia stato poi ceduto alla General Electric. Laura, la figlia, afferma che fu Valletta: “Vittorio Valletta, amministratore delegato della Fiat, che dopo la morte di mio padre era diventata azionista di Olivetti, a metà degli anni Sessanta disse che la divisione elettronica era «un neo da estirpare»”. Sottintendendo: lo disse per favorire General Electric, la società Usa, con la quale la Fiat era in affari per i motori di aviazione. Ma General Electric non era nell’informatica.
La figlia di Mario Tchou, l’ingegnere mago dell’elettronica che morì in un incidente d’auto poco più che quarantenne, deve protestare indignata contro ogni ipotesi di complotto: suo padre morì proprio in un incidente, una leggerezza dell’autista, che morì anche lui.
Molto diverse anche tra i figli le letture della vita affettiva di Adriano Olivetti. E dell’eredità cui  gli stessi figli non erano preparati.
La memoria, più che condivisa, più spesso è divisa: separa, allontana. Discrimina come sempre: quella personale e quella storica – se ce n’è una.

Ottimismo – È necessario al creativo. Anche al più pessimista. Al quale si richiede, per esempio al grande pessimista Baudelaire, costanza di giudizi e intelligenza, oltre all’applicazione. Che per il genio è più faticosa che per ogni altro, ma è incessante, è un habitus, “lavorare”. Non senza forza quindi, o allegria.
Leopardi lo riconosce in un frammento del 24 giugno 1820 (“Zibaldone”, 126): “Quantunque chi non ha provato la sventura non sappia nulla, è certo che l’immaginazione e anche la sensibilità malinconica non ha forza senza un’aura di prosperità,  e senza un vigor d’animo che non può stare senza un crepuscolo un raggio un barlume d’allegrezza”. O Nietzsche, che scrivendo a Gast il 3 settembre 1883 così spiega la tetraggine di cui deve avvolgere Zarathustra: “Così vuole il piano. Ma per poter fare codesta parte, prima ho bisogno io stesso d’una allegria profonda, celeste” – il “patetico della più alta qualità” può riuscire “solamente come giuoco”,  e “alla fine tutto diventa luminoso”.

Pessimismo – È indotto dalla scienza, afferma il secondo Nietzsche risoluto: è l’umanesimo scientifico che approda al nichilismo, “alla decadenza del sentire e del valore”.

Il pessimismo rigenerativo è classico, greco. Quello contemporaneo, “tedesco”, Nietzsche fa derivare (“Il pessimismo tedesco”,  frammento del giugno-luglio 1885) dall’illuminismo: “Verso il 1770 si notava già la serenità scemare”. Dall’illuminismo non in quanto scienza e sapienza ma delimitazione (diminuzione) delle stessa.
Meglio ancora in un frammento di tre anni più tardi, Nietzsche individua “le filosofie del pessimismo” come “fisiologicamente decadenti”. Dei “pessimisti moderni”, che elenca: Schopenhauer, Leopardi, Baudelaire, Goncourt, Dostoevskij tra essi.

Ma secondo lo stesso Nietzsche, frammento della primavera 1878, è effetto della cattiva digestione: “I pessimisti sono persone intelligenti con lo stomaco rovinato: col cervello si vendicano della cattiva digestione”. E non si sa che pensare – di Nietzsche.

Religione – L’inutilità più utile. O la più inutile delle necessità. Non connessa alla verità, non è nella sua natura – è l’errore più comune della critica scientista. L’uomo sarà quello che Zhaung-zi diceva dell’albero secolare: “Quest’albero è davvero inutilizzabile! Per questo ha potuto raggiungere tale altezza. Già, l’uomo divino è anche lui null’altro che legno inutilizzabile”. La storia del Cristo – di storia tra l’altro si tratta, documentabile – è più di un mondo per il cristiano (colui che sa goderne).

Ricerca – Più del riso è il proprio dell’uomo (il mito di Ulisse), con le derivate di infinito e eternità. L’affinamento costante non solo, che è attività artigianale, allineata col fare, con l’accumulo di esperienze e la progettualità. Ma questa piuttosto, allargata “oltre” la verità e il bene, a un più inesauribile di verità e di bene che fatalmente è sempre oltre. Incostanza? L’insoddisfazione è il segno dell’uomo. Anche la rassegnazione si ambienta in un quadro multiplo, sotto la cenere cova sempre la rivolta – il risveglio, lo stimolo.

Riso – Leopardi e poi, con lui, Nietzsche, lo connettono alla sofferenza. Nelle “Operette morali”, al “Dialogo di Timandro e di Eleandro”, ne fa cenno: “Dicono i poeti che la disperazione ha sempre nella bocca un sorriso”. E nello “Zibaldone”, 188, 26 luglio 1820: i pazzi “più malinconici e disperati” ridono più di frequente, “cosa però notabilissima anche nei savi ridotti alla intiera disperazione della vita”. Nietzsche può precisarsi con orgoglio: “Forse so meglio di tutti perché solo l’uomo rida: solo lui soffre così profondamente da aver dovuto inventare il riso ,è giusto che l’animale più infelice e melanconico sia anche il più allegro”.

Sapere – Una ricchezza che si può condividere arricchendosi.

zeulig@antiit.eu

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