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sabato 2 novembre 2013

Il paesaggio si vuole vecchio

“Notoriamente, quasi proverbialmente, Zanzotto è il poeta del paesaggio”, non si non convenire con Matteo Giancotti, che cura questa raccolta di diciotto prose disperse. Heideggeriano, anche questo è vero, uno cioè che fa “vero luogo” del poeta lo sradicamento. Mentre è, personalmente, radicatissimo, il paesaggio è esclusivamente il suo paesaggio, cui ogni altro sempre rinvia. “Orizzonte psichico”, lo vuole Zanzotto, entro cui ognuno si forma e si riconosce. Con esiti alterni.
La raccolta è diseguale, di prose d’occasione, minori, di vario genere. Una utilmente autobiografica, “La memoria della lingua”. Le altre compiaciute, da autore esimio. Quelle di Vienna per  esempio, o degli outcast con cui il poeta dall’alto si identifica, Cecchinel e Nino compresi, i suoi due eponimi – dirsi outcast è già non esserlo. Poco rimane di Nino in questo ritorno, il gigante buono in tutto e a tutto, “coma da biglietto da visita”. E avrebbe potuto essere meglio: la festa di Nino e Freya Stark novantenni a Asolo, per esempio.
Le prime tre prose, veri e propri saggi, “Una certa idea del paesaggio”, di impianto heideggeriano, sono dense e in qualche modo significanti. Un apprezzabilissimo tentativo di filosofia del paesaggio. Il resto degrada al lamento delle “povere cose agresti”, contro l’urbanizzazione selvaggia – l’urbanizzazione è selvaggia. Alla deprecazione degli scempi del boom e del post-boom, in anticipo sull’ecologismo ma già sulla linea frequentatissima Cederna-“L’Espresso” – è da  sessant’anni che l’Italia è morta, sfregiata, sfigurata, almeno da sessanta. Per l’insanabile misoneismo di cui si para il poeta contemporaneo, Zanzotto come Pasolini – anche se è difficile pensarlo afflitto, mentre fa due e tre sacchetti di spazzatura ogni girono. Salvo plaudire ai mulini Stucky a Venezia, che da “gigantesca gaffe economico-architettonica” sono trasposti dalla patina del tempo (dall’abitudine) a buffo “allucinatorio diverticolo”, che porta a “mondi paralleli”. Oppure – Zanzotto se ne compiace - alla nostalgia del “vecchio mondo veneto mitizzatosi come quiete rosea e un po’ tabaccosa”. Mentre la povertà del Cadore, poco fuori Cortina, prima del boom era inimmaginabile – uomini e bestie, uomini-bestie. In un “vecchio mondo veneto”, peraltro, a metà emigrato.
Andrea Zanzotto, Luoghi e paesaggi, Bompiani, pp. 230 €11

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