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mercoledì 2 aprile 2014

Il mondo com'è (168)

astolfo

Don Camillo e Peppone – Si riprometta sempre la serie ed è la sola storia politica dela Repubblica. Non solo alla tv, neanche nei libri se ne trova altra, e nei giornali seri: la Dc e il Pci, e nient’altro. Non c’è stato altri governo, non c’è stata e non c’è altra sub-cultura, non ci sono stati altri aprtiti né altre personalità. Un culto. Se Andreotti, l’anticomunista più duro, che sull’anticomunismo si costruì anzi la fortuna politica, anche con i suoi governi della solidarietà, appoggiati dal Pci di Berlinguer, fu ed è un’icona dello stesso Pci e dei suoi epigoni.
Una forma di sovietismo della memoria. Magari le due sub-culture hanno fatto anche l’Europa, il divorzio, l’aborto, il diritto di famiglia, lo statuto dei lavoratori, il sistema sanitario nazionale, e quando c’era l’inflazione l’hanno abbattuta.

Eurasia – Stalin ritagliò le repubbliche centro-asiatiche con vari accorgimenti: spostamenti di popolazioni, nuovi confini, interconnessioni obbligate, con l’intento non di autonomizzare le repubbliche, ma di sottoporle in misura più o meno ampia all’elemento russo. Più di tutti nell’immenso Kazakistan, grande quasi quanto la Russia ma desertico e poco popolato, dove i russi hanno una presenza consistente, attorno al 25 per cento della popolazione. Il Kazakistan si è creato una capitale, Astana, per farne un centro urbano kazako. Fino a pochi anni fa i kazaki erano nomadi e le città-paesi erano di pescatori e coltivatori russi, dal Caspio agli Urali.

Per Putin è una scelta difensiva, ipotizzando Mosca come molto probabili le zone di libero scambio che gli Stati Uniti hanno progettato per l’Atlantico e per il Pacifico, la Ttip e la Ttp. Contrariamente all’ipotesi geopolitica dominante, Putin ritiene che la Russia possa difendersi col nocciolo continentale, anche se dovesse essere accerchiata senza faglie nel rim costiero. L’Eurasia di Putin è una risposta ai due grandi progetti americani.
Anche su questo terreno la Russia trova convergenze con la Cina: l’Eurasia incontra la spinta cdella Cina verso Ovest. Nuove vie verso Occidente attraverso il Kazakistan sarebbero più brevi della transiberiana, ma Pechino le ritiene meno affidabili – l’elemento turco Pechino teme come forza dissolvente più del Dalai Lama.

Maschilismo – Il maschio presumendo uguale alla femmina, sarebbero - saranno – sue anche le funzioni femminili, a meno della gravidanza. Con la consueta finezza, Barbara Stefanelli ne fa un quesito su “Io donna”, che però è già una risposta: perché il padre non dovrebbe scegliere i vestitini anche della bambina, vedersi i cartoni con lei, e sbattere insieme la frittatina, impastare il dolcetto?

Perù – Fa vent’anni di sviluppo ininterrotto – eccetto i tre anni di crisi dei mercati esteri, nel 1999, nel 2001 e nel 2009. A un tasso medio annuo del 6,5 per cento, che si conferma nelle previsioni quest’anno e nel 2015. Un boom sostenuto dalla domanda interna, più 10 per cento circa nel 2013, più che dalle esportazioni grezze. Con l’inflazione al 2,5 per cento. Riserve valutarie di 64 miliardi di dollari. E un debito pubblico limitato al 9 per cento del pil.
“È - vale - un Perù”, si è detto a lungo nei secoli della ricchezza per antonomasia, quando il Perù era la terra dell’oro e dell’argento, la ricchezza mineraria di pochi spagnoli. Era ancora l’Eldorado per il Candido di Voltaire, che vi sbucò da un tubazione sotterranea. Era finito nella stagnazione dopo l’indipendenza nel 1821, cioè nella miseria per i più, i cholos, la metà abbondante della popolazione che è amerindia, e buona parte del 30 per cento della popolazione di sangue misto, la minuta  borghesia delle poblaciones urbane, delle borgate. Ora il Perù si arricchisce integrando i cholos e anzi grazie ad essi. Nella geografia urbana l’élite creola o bianca si ritrae in suoi “nuovi” quartieri isolati, lasciando le città, dopo le campagne, ai cholos. Che sono infine integrati, politicamente e socialmente, e sono la forza del boom.
Il Perù si segnala perché è un caso di ricchezza “creata” dal buongoverno. Uno di non molti – il più robusto, in Cina, è l’opera di un regime totalitario. Mentre il buongoverno per lo sviluppo si manifesta al contrario nei due paesi un tempo più ricchi e apparentemente più solidi del Sud America, l’Argentina e il Venezuela. L’Argentina ha perso il treno dell’Unione Europea (grano e carne), benché fosse legata all’Europa per cordone ombelicale, formazione, cultura, ed economia, e non si è più ripresa. Il Venezuela, che aveva costruito un’economia con le rendite del petrolio, l’ha disintegrata con la cattiva amministrazione nel nome del vetustissimo caudillismo.
I governi hanno un ruolo nello sviluppo, che il mercato non saprebbe cancellare. “Il paese va avanti di notte quando i governanti dormono”, recitava amaro “Inside Latin America”, il bestseller del terzomondismo nel 1967, di John Gunther, uno specialista degli “insider” – libri di attualità che restano bizzarramente sempre validi (specie il primo, “Inside Europe”, 1936, e “Inside Usa”, del primo dopoguerra).

Turkestan - Dostoevskij, “Diario di uno scrittore”, inneggia a più riprese alla guerra russo-turca del 1877-78, l’undicesima della serie, quella che “libererà” il Turkestan nell’impero russo – la metà occidentale del Turkestan. È un destino e un dovere, dice Dostoevskij: tutto pur di liberare dai turchi i nostri fratelli slavi. Il ritorno della Turchia alla (relativa) potenza economica ora un’attrazione contraria sull’ex Turkestan. Un’evoluzione che configura il fattore più potente di collusione tra la Cina e la Russia oggi: il Turkestan orientale, abitato dagli Ujguri, Pechino teme come focolaio di terrorismo e insurrezione.

Yalta – Con la Crimea, la Russia si è ripreso anche lo “spirito di Yalta”, le zone d’influenza che furono sancite nella conferenza alleata del 4-11 febbraio 1945. Con un anno quindi di anticipo sul settantesimo dell’accordo. Manovrando le truppe al confine con l’Ucraina, Putin  intende anche influenzare il voto presidenziale in quel paese, incoraggiando i russi e i filorussi. Ma l’esito della crisi non sembra più in dubbio: associata, forse, alla Ue, l’Ucraina resterà comunque fuori della Nato e riconoscerà la grande minoranza con una struttura federale. È la vecchia ricetta della “finlandizzazione”, ma ora in senso attivo, di promozione della Russia, più che difensivo - come si fa valere per camuffare vincitori e vinti.

Yalta sarà stato il Congresso di Vienna successivo allo sconquasso della guerra, del tramonto del bonapartismo tedesco in Europa. La divisione in zone d’occupazione e influenza, ciò che s’intende comunemente per “Yalta”, era stata già abbozzata a Casablanca a gennaio del 1943, e concordata a Teheran a fine novembre dello stesso anno. Yalta sancirà, a guerra quasi finita e quindi con l’orso sovietico dentro l’Europa, una sorta, al contrario, di cuscinetto protettivo per la Russia. Nella forma della “finlandizzazione” più che dell’occupazione diretta, come poi avvenne. Nel 1947, malgrado l’occupazione militare conseguente alla guerra, Stalin pensava a uno statuto di neutralità per Bulgaria, Romania e Ungheria, in aggiunta alla Finlandia, e a nessuna forma di controllo su Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Jugoslavia. La svolta avvenne nel 1948, e fu decisa per consolidare la divisione della Germania – su cui gli Usa concordavano.

astolfo@antiit.eu


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