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venerdì 31 ottobre 2014

Letture - 190

letterautore

Antitaliano – È tema e genere antico. Ma soprattutto toscano. A partire da Dante, nel quadro dell’antipolitica. Tanto che molti lo vogliono tedesco – lui che pure era distintamente italiano, cultore di ogni memoria anche locale e remota, che tanti luoghi, eventi e personaggi ha “fissato” nella memoria e nella storia, riferimento oggi di ogni storia locale, da Pozzallo al Grossklochner. Dallo steso Petrarca. Fino naturalmente ai toscani del Novecento, da Papini a Montanelli. Ma escluso Malaparte, toscano antipatizzante come nessun altro e tuttavia uomo di mondo.
È esercitazione borghese – le imputazioni a Dante comprese – e provinciale, di chi s’immagina un mondo meraviglioso là fuori.

Antipolitica – Ha debuttato presto come genere letterario: “Roma” è corrotta e spregiudicata già nel 1983, anno di uscita di “L’eredità Ferramonti”, di Gaetano Chelli. Due anni dopo recidiva Matilde Serao, con “La conquista di Roma”. Presto imitati da molti, compreso il siculo-napoletano De Roberto, “I viceré”, 1891-4, forse il più cattivo. Fino a “I vecchi e i giovani” di Pirandello, una sorta di anteprima del “Gattopardo”. Questo si può dire dunque genere meridionale.
Il Risorgimento letterario finì presto. Con non molte opere. Anzi, solo con una: le “Confessioni di un ottuagenario”, pubblicato tardi, come un residuato, e tuttavia a ogni rilettura vivo. Preceduto – non granché - dalle “Mie prigioni”. E seguito da qualche – non granché – epopea garibaldina.

Italiano – Primeggia come way of life, nota Prezzolini in “L’Italia finisce”, come sistema di vita. Che non è codificato e forse non codificabile, e tuttavia reale. Che suscita invidia e ostilità, naturalmente represse, si può aggiungere. Da qui, argomentava Prezzolini, “l’amore senza stima”degli stranieri per l’Italia, e “una esagerata valutazione accompagnata da un non soverchio amore” degli italiani verso gli stranieri.
Anche come personalità influenti, sulle lettere, le scienze, la filosofia, l’arte, non c’è male. La lista naturalmente è lunga, ma non potevano che essere italiani Dante ovviamente, Petrarca e Giotto, Boccaccio anche, Michelangelo, lo stesso Leonardo, Machiavelli, Vico, con Campanella e Bruno, perché no, Manzoni. E Cavour, Mazzini, Garibaldi non sono inventati, hanno in varia misura organizzato e realizzato l’unica rivoluzione senza residui dell’Ottocento europeo – copiata maldestramente da Bismarck, con infiniti lutti poi. Perché italiani e non altro? Perché senza pregiudizi, aperti sul mondo.

Mafia – Camilleri ne tratta (di più nell’ultima raccolta di Montalbano, “Morte in mare aperto”), come di un fatto. A volte criminale. Criminale cioè al fondo ma regolata. Criminale come una classe dirigente borghese, si sarebbe detto – e lo è stato, è stato detto - in termini classisti, ugualmente illegittima, e legittimata dal suo potere. Di una politica borghese, altrettanto legibus soluta, crudele perfino, ipocrita, e immutabile. Più rispettosa della legge semmai che non quella politica, che invece si vuole al di sopra della legge. A volte confliggente con la legge, di cui però è rispettosa: ogni “sgarro” essa stessa punisce preventivamente, tempestivamente. Ma sempre ne parla come di un mondo separato.

Camilleri usa richiamarsi a Sciascia, ma ne è agli antipodi per molti aspetti, e per questo in particolare. Anche Sciascia racconta la mafia come un dato di fatto, un aspetto di un mondo. Ma non separato. E non rispettoso della legge, non “migliore” della classe dirigente politica. Per una diversa forma di radicalismo: quello di Sciascia è ancorato nella “vis repubblicana”, dei “valori laici e civili”. Quello di Camilleri in un comunismo di maniera che è in realtà il cappello di un anarchismo di fondo – comunistoide e fascistoide ugualmente.

Novella – La più italiana delle forme letterarie, è stata detta, e lo è. Sensuale e satirica. Realistica. In un duplice senso. È di linguaggio diretto e non rituale – bolsamente retorico, ripetitivo, che è il mainstream della prosa critica dopo Galileo. Il novelliere, da Boccaccio a Camilleri, è uno che si guarda attorno e “trascrive” le scene che vede, in una sorta di diretta differita. E non sfida ma segue il codice del mondo: il bello preferisce al brutto, il giovane al vecchio, il coraggio alla viltà, l’intelligenza alla stupidità. Come tutti. Anche quando rovescia i termini, e punta sul brutto, il furbo, la viltà, la sofferenza, la crudeltà, connotandoli giocosamente gioiosamente.
Questo fino all’Ottocento. Poi, da Manzoni in poi, prevale anche nella narrativa lo schema “attacchiamoci alle Alpi”: si adottano col romanzo i modelli stranieri, via via storico, verista, psicologico, decadente, sociale, autofinzionale. Calvino resta leggibile per questo, come tutti quelli che hanno continuato a scrivere novelle, Pirandello, Soldati, Gadda, il primissimo Arbasino.

D.H.Lawrence, che aveva già tartdotto moltissimo Verga, traducendo nel 1929 “La storia del Dottor Manente” del Lasca (Anton Francesco Grazzini), nota che lo spirito della novella italiana è crudele – quando è proprio buono, l’uomo di spirito manca di carità. Ma è un’apparenza, il puritanesimo può essere più crudele, sia quello che Lawrence sfida, sia naturalmente quello che lui stesso esercita, a danno dei sardi, dei capresi, e anche dei liguri, il Mediterraneo rimanendogli fondamentalmente incompreso.

Reazionario – “L’Italia ha una doppia anima reazionaria”, scrive Francesco Piccolo sul “Corriere della sera” (28 ottobre 2014): “È reazionaria perché è conservatrice…; ed è reazionaria perché è vittima, a sinistra,del sentimento di sconfitta dei rivoluzionari”. La cosa non ha molto senso – che dire allora degli altri paesi e mondi? L’Italia è il paese meno conservatore, della Germania certamente, della Francia e della Gran Bretagna, e un po’ meno eccessivo e superficiale, più considerato  della Spagna. Ma i rivoluzionari? Dove sono in Italia, o sono stati, i rivoluzionari? Togliatti, forse. Piccolo ne è – inconsciamente? – cosciente: “Soltanto con la sconfitta la purezza è difendibile, soltanto con la sconfitta non si mettono alla prova le idee e quindi si conservano intatte”. Con la sconfitta oppure rinviando la battaglia.
Ma è nel concetto riduttivo di riforma, o innovazione, che Piccolo soprattutto inciampa – come la mula del Berni, che sollevava i sassi per inciamparvi sopra. Cos’è la rivoluzione, tagliare le teste? No, è gestire il potere nel senso della democrazia e dei bisogni dei più nel rispetto delle minoranze. È la riforma. Riformista è termine svalutato dalla polemica politica, e allora? È svalutato da un secolo, e allora? Il secolo non è stato onorevole, e lascia l’Europa sconfitta e incapace.
Si capisce l’incongruità di Piccolo là dove torna a proporre Berlinguer come ideale dì’innovazione e democrazia. Uno che disprezzava – letteralmente, visceralmente – i liberali, i radicali e i socialisti. Intollerante cioè nel midollo, poiché accettava solo i nemici politici, in quanto dotati di potere. A questo Berlinguer Piccolo contrappone come alfiere della reazione Fanfani, il politico che ha rinnovato l’Italia, dalle autostrade, la scuola media e i patti agrari all’autogoal del divorzio – il referendum di Paolo VI che imbarazzò Berlinguer. Reazionario è l’uso delle categorie: reazionario, progressista-riformista, rivoluzionario. Non in sé: a lungo la distinzione è stata netta nei termini, diciamo fino alla guerra contro Hitler. Poi è intervenuta la guerra fredda, che ha imbrogliato le carte. La scelta di De Gasperi per la Nato è stata, è, progressista o reazionaria? E la scelta della Dc di Fanfani per il Mec, ora Ue? Poi è intervenuto il mercato. Che smazza le carte con la stessa abilità delle streghe e i maghi, invasivo, sottile, le riserve annacquando e cancellando le necessarie controindicazioni – una persuasività di cui si ricorda l’eguale nella storia, benché prodroma di guai per (quasi) tutti.

Prezzolini, l’ultimo reazionario patentato dell’intellighentsia italiana, risulta oggi alla rilettura straordinariamente vero e verace – cioè intenzionalmente vero, non preconcetto, perfino non di parte. E dunque democratico nel senso buono del termine, e progressista? Tanto più oggi che nessun progressista sa - o si cura di - rilevare le carte truccate dell’ideologia del libero mercato, benché eccessivo, impudico, imprudente.  

letterautore@antiit.eu

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