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domenica 26 ottobre 2014

Il profumo della pubblicità

Si raccolgono anche le briciole. Ghiotte, anch’esse. Colette fece molta pubblicità, per soldi e per provare qualcos’altro. Fu testimonial (Lucky Strike, Ford, Simca, Philips), e scrisse testi, commerciali o redazionali, per case di moda, vini, profumi, cosmetici,  libri, mostre, talvolta in forma di lettere all’autore o produttore, da utilizzare spendendo il suo nome. Era anche un tempo in cui le industrie si promuovevano con gli scrittori. Nulla di male, e nulla di eccezionale. Anzi sì, sono testi che si rileggono. E non solo perché il libraio collezionista Claude Courtet li ha raccolti, a partire dal 1984, nella libreria di rue Dolomieu che ha dovuto chiudere qualche mese fa, per mancanza di successori, da lui rinominata “Art de la publicité” e specializzata.
Si rileggono come evocazioni e narrazioni. Anche quando l’esposizione sembrerebbe tecnica, per la conoscenza impareggiabile che Colette ha delle erbe e le piante, i loro colori e odori, le proprietà, le combinazioni. “Uno scrittore farà pubblicità se ne è capace”, il curatore fa scrivere a Colette in epigrafe: “Cioè se è dotato di curiosità, di voglia di vivere; se risente insieme l’amore di ciò che è nuovo, la vergogna della routine, il desiderio di conoscere, la capacità di divulgare. Che inoltre possieda una vocazione abbastanza ricca, ed eccolo capace, in effetti, di fare la pubblicità”.
Le pagine sull’olfatto sono da antologia – in prefaziona a “L’album de l’odorat” dei profumi Lanvin. La prefazione a una brochure degli artigiani lionesi si trasforma in un gustoso saggetto su Balzac e la moda. E a proposito di Balzac, di sfuggita: “Balzac dice – e che cosa non ha detto? È, per i fervente tra i quali io, una giungla inesauribile… Quel piccoletto impetuoso aveva un odorato da bestia cacciatrice. Quando lui annusa, non oso più mettere in dubbio il si dice che attribuisce al maschio una narice più esperta della nostra” (Colette e Balzac è un altro discorso: la scrittrice, che ne ha annotato le opere, lo diceva “la mia culla, la mia foresta, il mio viaggio”). Ma lei non teme “molti rivali”. Mascolina dunque? Nell’uso dei sensi sì: “I laboratori non amano la presenza della donna, selenicamente turbata”, ma non c’è profumo senza donna.
Della pubblicità Colette aveva appreso presto l’arte. In parte sostanziosa dal suo primo marito, lo scrittore Willy, che creò il marchio Colette. In parte per la naturale socievolezza, la curiosità inesauribile. Per un periodo volle essere estetista, con un proprio marchio e negozio, iniziativa che qui dirà “seducente e tropo pesante”.  Il curatore Frédéric Magnet, preso anche lui di sorpresa, dalla tenuta dei testi, non ci dice se questo impegno era retribuito, a tariffario, o era principalmente auto pubblicità, pubblicità di ritorno – essere nel mercato del successo, favorirlo, goderlo. Ma sempre è vivace.
Colette, Le second métier de l’écrivain, L’Herne, pp. 177 € 9,50

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