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domenica 23 novembre 2014

Secondi pensieri - 196

zeulig

Diritti – Sono unaggressione: hanno cancellato ogni scuso e appiattito le diversità. Di storia, lingua, religione, etnia, di genere anche, e di geografia, clima, assi terrestri, meridiani e paralleli, e con la globalizzazione anche quelle industriali, commerciali, alimentari, sociali. E la morale: l’etica dei diritti è una uguale validità - e una uguale impunibilità. Lo svuotamento di ogni senso morale, qualunque esso sia.
Il genere (sesso) viene declinato, e pare anche esercitato, ora in 53 o 56 accezioni diverse, cioè in nessuna. Il corteggiamento, il fidanzamento e il matrimonio si sono dissolti nella relazione.  Che si vuole aperta, cioè una porta girevole. La fascinazione è scorretta, e anche giuridicamente perseguibile in tribunale.

Si esercita come un diritto il suicidio. Ma più ancora il suicidio-omicidio,  ogni giorno milioni di volte, di motorini che guizzano sulle buche, i binari, la destra, contromano, in curva, per la precedenza, e per lasciare onta indelebile su chi li falcerà. O il suicidio per colpa, del pedone che affronta le strisce telefonando e guardando dall’altro alto, anche lui perché ha la precedenza.
Essendo tutti eguali per il necessario antirazzismo, siamo tutti anche stinti. È difficile prendersi: identificarsi, difendersi, affrancarsi. Oltre che proteggersi.
Anche il delitto è omogeneizzato: il Br e il tagliateste Isis sono lo stesso.  

Felicità – “Necessaria per vivere”, la dice Guido Morselli. Non si vive senza, il singolo e anche il gruppo sociale, senza una qualche forma di speranza. È la speranza. Il fatto stesso di esistere.

Filosofia tedesca - Sembra onnipresente, inesauribile, ma solo in Italia - e in Francia. Si possono leggere corposi libri di filosofia in inglese, perfino Wittgenstein, e non trovarvi mai un riferimento tedesco. È ferma peraltro a Heidegger, con dubbi, e più per l’operosità di Hannah Arendt, la sua amante.
Wittgenstein fa all’inizio riferimento a Frege, ma più in qualità di matematico, e quindi logico – si dice che Wittgenstein fosse stato portato alla filosofia da Schopenhauer, ma non si vede come. Si può leggere Anscombe, allieva, collaboratrice e esecutrice testamentaria di Wittgenstein, funzione per la quale imparò il tedesco, leggerne seicento pagine di fila, e non imbattersi in un tedesco. Un paio di righe per Kant, ma niente Hegel, Schopenhauer, l’onnipresente Nietzsche. I grandi ordinatori della storia, e della condizione umana. Alcuni ottimi sceneggiatori, anche narratori, Heidegger incluso, quando se ne viene a capo. Ma più che altro di libri di devozione, citabili, aforismabili. Col vezzo dei rovesciamenti – della dialettica: l’amore è la morte, il desiderio è dolore, la vitalità inganno e allucinazione, e Sofia Loren è Tina Pica. L’analitica è tosta, ma è filosofia, e ne fa a meno.

Identità – Goffredo Fofi a Torino nel 1970 tra gli immigrati non ci trovava meridionali ma pugliesi e calabresi, e napoletani, siciliani, etc., o meglio ancora palermitani, catanesi, tarantini e così via. Le identificazioni erano il più possibile ristrette. Analogamente nell’emigrazione all’estero, forte era, e tuttora in qualche misura è, la “insularità”: comunità che, pur proclamandosi americane, australiane etc, si riconoscono nei paesi e le tradizioni d’origine, per dialetti, usi alimentari, feste, riti religiosi, riti sociali.
Il fatto è tanto più rilevante in quanto la diversità spesso è amministrativa, di storia recente cioè, e accidentale. Se non come gli Stati per i quali ora rischiamo la guerra, Irak, Siria, Libano, principati arabi, creati un secolo fa col regolo, da remote capitali coloniali, comunque divisi o accorpati per ragioni e da autorità esterne alla comunità identitaria. Due paesi riuniti in uno, per esempio, o i dodici che Mussolini accorpò per rimpolpare Reggio Calabria, o divisioni provinciali e regionali che tagliano e separano comunità storicamente omogenee. Non c’è soluzione di continuità tra Siena, o Grosseto, e Viterbo, scendendo lungo la Cassia o l’Aurelia. Ma sono due mondi diversi, per colori, disposizione, dimensioni e cura delle case, per atteggiamento e perfino abbigliamento, per la parlata, anche il linguaggio può essere segnato dal limite burocratico.
Le regioni dividono, o accorpano, ancora più a capriccio, ma anch’esse riescono in qualche modo a incidere sull’identità. La Puglia è almeno tre, il Salento, il Gargano e il baresano, ma “pugliese” è una buona identità. La Campania è caratterizzata sull’asse Napoli-Caserta, già a Salerno è diversa. O il Lazio, il più composito. La Toscana parla la stessa lingua, ma non tutta. Lucca non ha nulla in comune con Massa, non il linguaggio, e nemmeno la lingua. La divisione amministrativa finisce per consolidare una diversa lingua, e un diverso linguaggio. Mentalità. Costumi. Giudizio. Fedi, religiose, politiche. Consumi, stili di vita.
Il fatto non è solo italiano. La differenza più radicale si presenta forse tra Francia e Spagna al confine catalano. La stessa lingua e la stessa tradizione, catalana, sono vissute in modo diametralmente opposto di qua e di là della frontiera. Inerte (economicamente, commercialmente) e rognosa (razzista, sciovinista) a Perpignan, febbrile e aperta a Figueras.
Ogni città, ogni paese, finisce per avere una sua “configurazione” (Norbert Elias), un sistema di interrelazioni specifico o “chiuso”, che cristallizza nel tempo in comportamenti e mentalità, pur attraverso frizioni, e anche conflitti, che la stessa interdipendenza accentua. Questi nuclei, “configurati”, si identificano nella rete di cui sono parte, etnica, storica, linguistica. E tuttavia le differenze ci sono pure. O, se si vuole, uno dei fili o delle gabbie di questa rete è il sistema di relazioni amministrative, istituzionali: a volte basta un semplice tratto sulla carta per segnare differenze vistose.

Marx - Fu giornalista, dopo rapidi studi di dottrina dello Stato, filosofia e storia, senza dottorato, anche se pretenderà di rovesciare Hegel. Engels lo paragona a Darwin. Ma è a Spencer che somiglia: la lotta di classe come il darwinismo sociale, la sopravvivenza del più forte. L’economia o l’interesse non spiega l’uomo, nemmeno l’uomo corporale, senz’anima, e neppure l’odio, non spiega la guerra, né l’ilare tragedia dell’amore, il sacrificio di sé, la procreazione, incluso dell’impresa economica, il piacere. Marx che si vuole critico è astratto, irrealistico. Entusiasma ma è sterile. Solo produce odi improduttivi, della perfida Albione, degli yankee, dei padroni, di chi possiede di più. Se c’è qualcuno che sa, con cognizione di causa, che il mercato è incontrollabile è lui - con più cognizione di causa di Smith. La filosofia della prassi è certo novità eccezionale, ma il suo inveramento avviene in Dostoevskij, o in Gide volendo essere beneducati, e Heidegger.
Sarà stato una promessa filosofica a ventisette anni, poi per altri quaranta un giornalista e agitatore politico. Non era facile, il valore economico è recente, fino a Hobbes non c’era un’assiologia dei beni. E a Marx si è fermato: non c’è una teoria del valore successiva, del valore come lavoro – in italiano è perfino anagrammatica. I suoi critici capitalisti ne ricalcano i fondamentali. Ma la critica del capitalismo è reazionaria: i reazionari prima di Marx, e con più veemenza, criticano il capitalismo, il mercato dei soldi.

Niente – Al contrario del vuoto, non ha uno spazio che lo delimiti. È per questo che si può confondere, viene confuso, col tutto.
“Ciò che si chiama niente non s’incontra che nel tempo e nel discorso”, è riflessione di Leonardo – “nel tempo si trova tra il passato e il futuro” quando il presente non si nega. “Nella natura” invece, “il niente non s’incontra: si associa alle cose impossibili”.

Opinione pubblica – Giulio Cesare Vanini, di Taurisano in Terra d’Otranto, morto poco più che trentenne a Tolosa, bruciato sul rogo come eretico, lasciò un libro “Dell’opinion regina degli uomini e degli dei”. Non la forza né la spada hanno svuotato l’Olimpo, mutato le dinastie, collocato il trono sull’altare, o l’altare sul trono, e azionato le rivoluzioni di popolo, ma l’opinione. Gli fa eco Vincenzo Padula, letterato risorgimentale calabrese: “La quale in sul principio è un pensiero senza voce, poi una voce senza eco, e finalmente un’eco, la quale, rimbalzando dalla capanna alla reggia, impone silenzio alle discordi passioni e caccia innanzi le moltitudini ed i Governi a raggiungere uno scopo indeclinabile e definito”. O non piuttosto a disorientarli e disorganizzarli?

zeulig@antiit.eu

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