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giovedì 18 settembre 2014

Nero Aspromonte 1 - Gomorra 2

Un film duro, cupo, di violenza totale, anche a Milano, in Lomellina, a Amsterdam. Dall’inizio alla fine, anche negli esterni e nelle ambientazioni, grigie, desolate. Segnato a ogni scena dalla distruzione, delle cose, gli animali, le persone. E i santi, le case, le automobili “tedesche”, il tempo atmosferico. Senza legge, né statale né morale, nemmeno familistica come si favoleggia, solo quella hobbesiana del lupo predatore. Anzi nemmeno quella, poiché non c’è nessuna ratio animale. Non c’è uno scopo e non ci sono relazioni: una vita pre-animale – chissà come si sente Gioacchino Criaco che ha scritto il romanzo dallo stesso titolo, autore di radici e formazione confessionali (o è questa la nuova religione?).
Sembra un film di fantascienza, con umani invece di androidi, ma altrettanto “agiti”, automi.  Perfino esagerato, iperreale: una serie di maquettes che fanno sussultare, i corpi brutti, i colori stagnati, la convivialità squallida, ogni suono una bomba, sia pure una porta che si apre. Con un finale incongruo. O un film d’autore di serie B – di culto, c’è chi vuole sentirsi solo. Non fosse per gli interpreti, specie Marco Leonardi, l’ex bambino di “Cinema Paradiso - e per la curiosità di Peppino Mazzotta in un ruolo vero, benché sfocato, invece del Fazio di “Montalbano”.
Un film claustrofobico, cui contribuiscono i dialoghi nel dialetto stretto dell’Aspromonte, sintetico, gnomico, parasintattico. La vera forza del film – forse è qui l’intervento di Criaco - che però è tutt’altra storia. Benché si privi della comunicazione muta (gestuale, facciale) che al cinema viene bene e fa la forza dei capolavori del genere, di Coppola, Scorsese, Ferrara.
È il film su cui ha puntato la Rai per il festival di Venezia. Lodato dai critici a Venezia e dopo (non, a ben leggere, senza riserve), fa pochi spettatori, ma non senza ragione. Non è folklorico nell’impianto - l’Aspromonte, la Calabria, la ’ndrangheta - ma finisce per esserlo come storia criminale. L’unica cosa vera, un tratto di realismo reale, è che i Carabinieri sempre se la prendono con la vittima. Oltre ai ragazzi che sparano voluttuosi (“Gomorra”).
Francesco Munzi, Anime nere

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