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martedì 4 aprile 2017

Il petrolio non manca, l’allarme è artefatto

Yergin, storico (debuttò con “The Shattered Peace”, sull’origine della guerra fredda) e storico dell’economia, si è specializzato nel mercato dell’energia. Che è insieme determinante per la sicurezza politica, ed è forse il più grande mercato singolo nella vasta rete dell’economia mondiale. Il calcolo è di un investimento di 6 mila miliardi di dollari nei prossimi anni per le sole riserve fossili di fonti di energia – a prescindere cioè dalle fonti alternative e dal “quinto combustibile”, le azioni per il risparmio (conservazione) e l’efficienza. Tutte le previsioni, afferma lo storico, danno il mondo dipendente dagli idrocarburi, per il futuro ipotizzabile, al 75-80 per cento dei consumi di energia.
Con “The Quest” Yergin torna a spiegare che l’allarmismo sull’energia è artefatto: il libro è stato pubblicato quando il greggio era a 70-80 dollari a barile – poi è salito a 100 e oltre. Una quotazione, spiega, ingiustificabile sotto ogni riguardo, né di costi materiali, né di ricerca e sviluppo, né di ammortamento, né di costi finanziari. Un’analisi e un’informazione calmieratrici in un mercato volatile, e molto dipendente dalla speculazione – voci, paure.
Lo aveva già fatto con “Il premio”, 1991, per dissipare i timori seguiti al primo (1973) e al secondo (1984) shock petrolifero, contrastando la facile speculazione sulle materie prime. Ci riprovato con questo “The Quest”, la ricerca, sottotitolo “Energy, Security and the Remaking of the Modern World”, dove modern sta per contemporaneo. Partendo da un breve excursus sugli apocalittici, che si commenta da solo. Primo Lord Kelvin, che nell’Ottocento profetizzò la fine vicina, dopo il 1881, per l’esaurirsi delle miniere di carbone nel Galles. E dopo la guerra l’ammiraglio Rickover, “il padre della Marina atomica”, per un facile rilievo: “La dotazione di risorse della terra si è mostrata in nessun modo così desolata come Rickover pensava”, malgrado Fukushima, le primavere arabe e l’incertezza dei rifornimenti, la Bomba iraniana, i consumi esagerati.
In questa chiave, e a parte, Yergin demolisce col sorriso il “picco di Hubbert”. Hubbert era un colorito personaggio che ebbe fama per aver “predetto” nel 1956 che la produzione americana di idrocarburi avrebbe avuto un picco tra il 1965 e il 1970 - il “picco di Hubbert” - e poi avrebbe cominciato a declinare. Basandosi su un calcolo corretto delle riserve americane di idrocarburi e del trend dei consumi, del fabbisogno del sistema produttivo. Il picco in effetti fu raggiunto nel 1970. E tre anni dopo la richiesta dei paesi produttori di un aumento dei prezzi alla fonte fu facilitata, nello “shock petrolifero” dell’ottobre 1973, proprio dall’ingresso degli Usa nel mercato internazionale come grande importatori. Hubbert ci prese gusto, e “nel 1978 predisse che i bambini anti nel 1965 avrebbero visto tutto il petrolio disponibile consumato nell’arco della loro vita”. Questo naturalmente non sta avvenendo: “Nel 2012”, spiega Yergin, “la produzione Usa di petrolio è stata quattro volte più alta di quella prevista da Hubbert”. Che nel suoi calcoli escludeva l’innovazione e i prezzi.
I problemi del mercato dell’energia sono di altra natura, spiega Yergin in dettaglio. Uno è “la globalizzazione della domanda”: ci sono più soggetti acquirenti sul mercato mondiale per quantitativi importanti, la Cina, l’India, lo stesso Giappone e la Germania dopo Fukushima e l’abbandono del nucleare. Oggi – 2010 – il consumo medio pro capite è di 14 barili di petrolio nei paesi sviluppati e di 3 nel mondo in via di sviluppo: che succederà quando i miliardi di nuovi entranti nel mondo dello sviluppo consumeranno 6 barili l’anno?
Poi c’è il problema della sicurezza. Contro i cyber-attacchi, la pirateria informatica, molto possibile nella complessa logistica delle forniture d energia. E contro le guerre e l’insicurezza del Medio Oriente, dell’area del Golfo – che detiene il 55 per cento delle riserve mondiali di petrolio e gas.
Ma il petrolio non manca e non è scarso. “Come prova del picco, i suoi sostenitori argomentano che il tasso di scoperta di nuovi giacimenti di petrolio è in declino. Ma non si tiene conto di un punto cruciale. La maggior parte delle forniture di petrolio non  è il frutto di scoperte, ma di riserve e rivalutazioni”. La differenza tra le prime valutazione, quando “si scopre” un giacimento, e le successive revisioni e rivalutazioni è solitamente elevata: il potenziale mediamente raddoppia.  
E gli investimenti in nuove prospezioni non diminuiscono, ma aumentano “drammaticamente”.
Daniel Yergin, The Quest, Penguin, pp. 820 € 19

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