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mercoledì 5 aprile 2017

Quando Sartori era tabù al "Corriere della sera"

Il ”Corriere della sera” lo celebra in prima e in un profluvio di pagine interne, con necrologio di tuta la redazione nominativa, da Agnoli a Ziccardi, ma quanta fatica per farvelo penetrare. Gli stessi primi approcci, sul “Mondo”, un periodico già a circolazione ristretta, dove non “offendeva” nessuno, furono faticosi, limitati a una “vetrina”, un “naso”, una dichiarazione, di uno di tanti esperti.
Il professore rispose volentieri da New York ai primi approcci. Si faceva trovare, e se non c’era rispondeva ai messaggi. Ambiva a dire la sua anche in Italia, e non soltanto sulla “Nazione”, che considerava giustamente un giornale provinciale – lui stesso aveva da tempo lasciato Firenze, e da New York, quando non sarà più tenuto al bando dal “Corriere della sera” e dalla Rai, rientrerà a Roma. Era anche il momento suo, della sua specialità, attorno al 1990, quando l’Italia voleva cambiare regime politico e elettorale. Ma dovrà aspettare, che la caduta del Muro travolga infine il Pci: le redazioni della Rizzoli Corriere della sera erano presidiate dalla cellula del partito, giornalisti furbi ma occhiutissimi, anche sulle virgole, e inflessibili. Sartori non solo non vi aveva spazio, ma “non esisteva”.
E questa è la storia: Sartori entra al “Corriere della sera” a settant’anni suonati, già emerito. Per la porta di servizio. E non per chiara fama: per riequilibrare un po’ la caduta del Muro. Il liberalismo del giornale lombardo si fermava al bobbiano (ipocrita) “pluralismo”, un colpo al cerchio e uno alla botte. Sartori era invece di idee cristalline.
È stato ai trent’anni uno dei giovani chiamati nell’allora facoltà unica di Scienze politiche in Italia, l’istituto “Cesare Alfieri” di Firenze, dal preside Maranini all’insegna del liberalismo di stampo anglosassone. Con Ferrarotti, Spreafico, D’Amoja, Predieri, Tosi. E già insegnava “Democrazia e definizioni”, nella pedagogia facendo largo spazio alla metodologia – fino a far precedere il corso da 150 pagine di manuale meta-metodologico: di che cosa andiamo a parlare. Le lezioni terminando con uno spazio per chiarimenti e contestazioni. Non ebbe più spazio nell’Italia degli anni 1970, del compromesso storico, che obliterò la cultura laica che Sartori rappresentava. E se ne andò in America, alla Stanford e poi alla Columbia.
Una coda si può aggiungere. Sartori fu recuperato, ma come una maschera da talk-show, una delle tante, e per disquisire di sistemi elettorali. Il suo impianto culturale (obiettivi, istituzioni, procedure, la prassi del buongoverno) rimane tuttora affossato sotto la censura compromissoria di cui l’Italia ha  fatto una seconda natura.

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