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lunedì 3 aprile 2017

Le scienziate segregate

È una satira, in salsa patriottica. Un film sulla stupidità. Annacquata nell’American Dream, delle segregate nere che invece sono americanissime, pioniere e paladine della libertà.
La storia è di tre matematiche che lavorano alla Nasa nel 1960. Ma essebd donne e nere è cme se non ci fossero. Una fisica matematica che è l’unica capace di calcolare le orbite, di crociera e di rientro, delle prime capsule spaziali, si deve assentate per fare pipì almeno quaranta minuti, se corre come una pazza, fino ai gabinetti separati per neri. Una informatica che sola sa far funzionare i primi potenti calcolatori Ibm ma non può entrare nella sala calcolatori, top secret. Una esperta ei materiali che dà i suoi suggerimenti per la capsula, la parte debole della missione spaziale Friendship, in funzione di occasionale suggeritrice, come portaborse. Tutte vengono tenute fuori dalle sale riunioni perché donne – ma le bionde entrano.
Tutto, forse, anche vero, reale: la segregazione razziale era un fato negli Usa, nella civilissima Florida, cinquant’anni fa, al tempo di John Kennedy. I fisici sono rigorosamente maschi, in camicia bianca e cravatta. Le cape-reparto biondissime. Le nere, per quanto coltivate, sono tenute in disparte, per i lavori meniali, tollerate come lavoratrici socialmente utili. Alla Nasa, la punta di diamante della ricerca e l’innovazione negli Usa e nel mondo. Ma il direttore Kevin Costner serioso ha un dubbio, quando vola la cagnetta Laika, e poi Yuri Garain: “Che hanno più di noi, sono più intelligenti?” Il regista non lo dice, ma lo sottoliena discretamente. Quando arrivano a Cape Canaveral per l’addestramento i futuri cosmonauti, al nordico colonnello John Glenn fa salutare ostentatamente, fra tutti i dipendenti in parata, il gruppetto delle nere, disinvolto e gioviale.
Un film che appassiona per la storia, più che per le immagini. Melfi è regista disimpegnato, come Damien Chazelle (“La La Land”). Europeizzante, anche per le origini: cresciuto a Brooklyn da padre siciliano, è americano filosoficamente (candidamente) critico. Senza calcare la mano.
Se se ne può fare una generazione col più giovane Chazelle, si direbbero scientificamente postmodernisti, che rifanno la vecchia commedia americana, tutta sorrisi e beatitudini. Ma con leggerezza. L’American Dream disturba solo all’arrivo dei Nostri - che è poi l’avventura breve e miracolosamente finita bene di John Glenn, il primo americano nello spazio extraterreste. Con promozioni, onori, titoli, e medaglie per tutti, comprese naturalmente le tre eroine nere. Ma prima la storia è appassionante di stupidità. E, poi, Melfi evita di fare delle tre scienziate segregate le solite bellezze al bagno: sono madri di famiglia, molto al naturale, giustamente grevi.   
Theodore Melfi, Il diritto di contare (Hidden Figures)

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