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lunedì 25 settembre 2017

Etica e socialismo solo nello Stato prussiano

L’anima della nazione tedesca è lo Stato: il vecchio spirito prussiano, tradito nella costruzione imperiale di Bismarck, è il socialismo. È qui la vera differenza con lo “spirito inglese”, individualista e calcolatore -. non nella flotta, come voleva il kaiser decaduto Guglielmo II?
Non è un’invettiva contro la perfida  Albione, è un’analisi quasi logica, benché inverosimile. Dopo il crollo nel 1918 della Germania prussiana.
Non ci può essere socialismo che prussiano. Perché il socialismo è inseparabile dallo Stato, e lo Stato è prussiano, è esistito in Prussia, e si concepisce nel senso prussiano. La Prussia non è altro che lo Stato. Non è ua nazione, né etnica, né territoriale, né linguistica. Era un coacervo di gente dell’Est, polacchi, dell’Ovest, ugonotti, e del Sud, salisburghesi, su un humus contadino informe. La Prussia si è formata attorno alla corona, ma nel senso dello Stato, non come entità patrimoniale. E non tanto per lo spirito di caserma ma per quello burocratico, del Funzionario – il Funzionario di Hegel, che incarna la coscienza civica, della legge e dei doveri.
L’imperativo categorico inventato da Kant nel 1788, con la “Critica della ragione pratica”, non può intendersi se non all’ombra dello Stato prussiano: un’etica comunitaria al di sopra dell’interesse di ognuno. Di fronte al quesito se la volontà dell’indidividuo deve sottomettersi a quella della comunità, la risposta è positiva solo in quel contesto. Il francese considera il potere sempre cattivo, e si abilita a lottarlo. Ostile anch’essa al potere, l’Inghilterra si rifà col commercio e la libera concorrenza – tenuta assieme solo dall’insularità, in altro contesto territoriale si sarebbe da tempo decomposta (a suo modo, Spengler ha antevisto la Brexit).
Marx mette assieme queste tre realtà, ma con esito mostruoso. Prussiano d’origine, vive a Londra, fomentando l’egualitarismo francese. Mescola il moralismo tedesco (il proletario è buono, il borghese cattivo), il mercantilismo inglese (tutto è produzione e commercio), e il dottrinarismo francese. Una costruzione intellettuale incoerente e non funzionale, la sua, che trova consensi perché mette assieme tutto.
Questa di Spengler è coerente - ma davvero il mondo si ferma alla Prussia? Con forti ragioni, almeno nei confronti di Marx. Contro il quale la preclusione è radicale, ma si saprà al secondo volume del “Tramonto dell’Occidente”, a proposito della “dittatura del denaro”: “Ogni movimento proletario, anche quello dei comunisti, opera – senza che gli idealisti tra i suoi capi siano affatto consci di questo fatto – negli interessi del denaro, prendendo la direzione che il denaro vuole finché la vuole”. Qui non è prevenuto. In un vero socialismo il lavoro non è una merce, ma un dovere morale: ognuno ha un posto nella società corrispondente ai suoì mezzi e alla sua vocazione, libera, disinteressata. Il solo socialismo degno del nome è quello di August Bebel, che concepisce la comunità dei lavoratori, comprese le donne, come un tutto organico.
Una vindicatio, il giorno dopo la fine delle ambizioni imperiali della Germania. E una apertura, da parte di un pensatore che poi si sarebbe voluto conservatore e reazionario, a un assetto diverso della Germania: il socialismo possibile solo in Germania diventerà un luogo comune, forse perché irrealizzabile. 
Oswald Spengler, Prussianesimo e socialismo, AR, pp. 122, ill. € 14

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