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mercoledì 7 ottobre 2020

Amalia e la patata lessa

Ersilia non c’è più, c’è la signora Amalia. Nell’ufficio nuovo in via Senato a Milano, tra altre case nobili in vere stanze, che sono salotti con boiseries e luce ombrata. La signora Amalia che compra le patate bollite in salsamenteria. Non interamente. Le compra bollite a metà. E questo crea uno strano effetto nella storia.
Martire padana, di Mortara e Lione, e della lontana Gerona, con ascendenze gotiche, per quell’amal che è perseveranza, la signora Amalia viene sempre ben messa, nel trucco, nell’acconciatura, nell’abbigliamento. Segue la moda, con tatto. Ha fatto gli studi, ha la voce impostata e i modi garbati, tutto quello che occorre a una segretaria di direzione. Ha sposato all’età giusta, ai ventitré, segno di equilibrio. Ha passato con suo marito indenni i primi cinque anni del mutuo, terribili per ogni matrimonio, ha due figli e una figura perfetta, e quindi, sui trenta, può dirsi realizzata, negli affetti, la famiglia, il fisico, il lavoro, il reddito. Se esistesse la perfezione, lei la incarna. I capelli biondissimi e gli occhi azzu-rissimi ne fanno un’attrazione, che è anche bene, l’ufficio di via Senato essendo di rappresentanza, è bene che la gente ci venga. Che ci siano dei disegni precisi non si potrà mai accertare, ma che molti vengano volentieri a Via Senato per la presenza di Amalia è fuori di dubbio – molte cose si fanno, anche molto a lungo, senza uno scopo preciso.
Le patate si vendono surgelate, pre-bollite, per la solita storia di far guadagnare tempo. Ma le patate si cuociono da sé. Se hanno una virtù è questa: una volta cuocevano lentamente sommerse nella cenere, ora cuociono altrettanto tranquille nell’acqua, non c’è bisogno di rimestarle, schiumarle, passarle, e anche a dimenticarsele qualche minuto di troppo restano buone. Si pelano calde in un paio di gesti, si frantumano in cinque o sei pezzi, e con l’aggiunta di olio e sale è fatta - avendo avuto cura di usare la forchetta per non ossidarle tagliandole col coltello. Si possono aggiungere capperi, alici a pezzetti, olive nere. Oppure si possono tagliare a fette col coltello, all’uso longobardo, e fredde servirle in insalata, quindi con l’aceto, la maionese, l’erba cipollina. O smashed, in poltiglia, all’inglese o alla peruviana - ma qui si va sul complicato. Una preparazione, comunque, che prende in tutto due minuti, non di più.
La patata bollita a metà sarà mangiata acquosa e insapore. Eppure Amalia è accurata. Di uno che rimane a metà delle cose si dice che è confuso, di Amalia quanto meno che rifiuta la casa, il marito, i figli e se stessa. E invece no, ha attenzione per la sua persona e i doveri dell’ufficio, e sempre tempo per la pettinatura, prima di uscire la sera e ritrovare casa e marito. Le draghe romane sono al confronto sgangherate, che la mattina arrivano con gli occhi cisposi, al più rispondono al telefono, di malavoglia, e domenica portano a Ostia i figli e il marito con la pasta in tegame e la torta al limone. Amalia è invece una vera signora. È l’eroina dei suoi romanzi, che pensa che il cibo distrugge il corpo, la spesa l’animo, che i figli crescono da soli, che suo marito non è suo amante, che trattiene i sentimenti per il colpo di scena finale. Invisibile, ha eretto una barriera, che per gli altri è piacevole ricorso, l’immagine di una bellezza, le si sorride con gratitudine, ma per lei è irrequietezza e malinconia. Per cui finisce sbollita e sciapita come la sua patata.
Cosa manca alla signora Amalia per la perfezione è la sua stessa perfezione, la sua modernità che è eternità. La quale allegoricamente segna il passo, è il destino di ogni opera perfetta. Questa sua maniera di guadagnare tempo, che dovrebbe farla tornare umana, in realtà lo elimina: il tempo è misura dell’uomo, altrimenti non è, è il metronomo di una musica. Quello che c’era prima dell’uomo è l’eternità, che è uguale a se stessa, un po’ stolida, e indifferente. Lo stesso è il lavoro perfetto moderno, che esclude il piacere, rinviandolo al tempo libero e al turismo, che sono un’industria. L’intoccabile Amalia ne è simbolo. Nei paesi di lingua inglese, dove il tempo libero del week-end è già tradizione, le coppie si preparano per il sabato pomeriggio, che però non sempre viene bene, lui può essere stanco, lei avere il mal di pancia, e la patata cotta a metà non aiuta. In Giappone gli sposi devono prenotare per tempo qualche ora in un Love Hotel, i week-end sono affollati. Ma già nel secondo Ottocento l’amore è un incontro fallito, in Baudelaire, Flaubert e altrettali testimoni, accidiosi perditempo delle due rive parigine, quando il tempo ancora non mancava. “Quello che si chiama amore”, il taciturno Beckett avrebbe detto solenne in conclusione, “è l’esilio, con una cartolina di tanto in tanto del paese”.

Ci sono mancanze a cui nessuna buona volontà rimedia.

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