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venerdì 9 ottobre 2020

Sainte-Beuve in Italia, fascino e repulsione

Sainte-Beuve ha esordito da poeta, venticinquenne subito celebre nel 1829, con “Vita, poesie e pensieri di Joseph Delorme”, e il suo viaggio in Italia ricorda soprattutto in quattro o cinque poesie, che Guyaux, che non le apprezza, antologizza nel saggio - con  l’eccezione di una “Ecloga napoletana”, pubblicata inizialmente anonima. La più lunga, “La villa Adriana”, una ode dedicata a Liszt, che ce lo ha portato in gita insieme con Marie d’Agoult, ha passi sentiti, poco di maniera. Anche emozionanti alla lettura, come è emozionata la scrittura – pur nel generale algore del critico in versi.
Emotivo anche uno dei sonetti, “J’ai vu le Pausillipe et sa pente divine” - Posillipo che pure Sainte-Beuve diceva niente in confronto al Lemano scrivendone agli amici Olivier che vivevano sul lago – è impregnato, osservava Gautier, di una “dolcezza fusa e tutta italiana”, in particolare il secondo verso, su Sorrento dopo Posillipo, “Sorrente m’a rendu mon doux rêve infini”: “Ogni orecchia sensibile recepisce lo charme di questa liquida riportata quattro volte e che sembra trascinarvi sul suo flutto nell’infinito del sogno come una piuma di gabbiano sull’onda blu del mare napoletano” (Proust, nota Guyaux ironico, “cita con meno entusiasmo questo stesso verso: «Orribile se lo si rotacizza e ridicolo se si arrotano le ‘r’» - “A proposito dello ‘stile’ di Flaubert”). Ma fu in Italia solo un mese, da metà maggio al 18 giugno 1839, solo a Napoli e Roma, e non ne riportò impressione felice.
L’Italia è specilmente assente nella vasta saggistica di Saint-Beuve, spiega Guyaux. Nell’articolo su Stendhal, “non commenta per niente le ‘Promenades dans Rome’ e resta evasivo sull’italofilia di Henry Beyle”. Quello in Italia fu però  il suo unico viaggio di piacere, di curiosità intellettuale e estetica. Sainte-Beuve viaggiò pochissimo: fu in Belgio e in Svizzera per insegnare, e le uniche altre scappate, anche al ritorno dall’Italia, furono in Svizzera, sul Lemano, dagli amici calvinisti Caroline e Juste Olivier.
Del viaggio in Italia è stato pubblicato nel 1922 il taccuino, col titolo “Voyage en Italie”, “appunti inediti pubblicati con una prefazione e le note di Gabriel Fauré”. Guyaux, il francesista belga della Sorbona, e un po’ italianista (consigliere dell’“Associazione Sigismondo Malatesta”, membro permanente del “Seminario di filologia francese”) rilegge tutti gli accenni di Sainte-Beuve all’Italia, negli appunti, nelle poesie, in un paio di saggi, e nella  corrispondenza. Una ricostruzione appassionante per un’ambiguità evidente: l’Italia ne rafforzava e scombussolava il moralismo “port-royalista” o calvinista. Sainte-Beuve si sdegna per San Gennaro e San Pietro, e si commuove. Specie nel ricordo.  Di questo o quel particolare che gli ritorna negli anni. Senza privarsi del luogo comune, la luce di Napoli (naturalmente col suo contrario: “Il sole di Napoli è un ideale che scompare da vicino”) e il vedi Napoli e poi muori – “O vivere là, amarvi qualcuno e poi morire”.
Guyaux è severo con i ricordi di viaggio. Studioso emerito di Rimbaud e di Baudelaire, nota che Rimbaud, che è stato a Genova e Milano nella sua fuga, non se ne accorge, mentre Baudelaire, che viaggiò poco o nula, se si eccettua il Belgio, ha dell’Italia visione più consona, specie nella lettura di Michelangelo, del barocco.  “La più parte degli scrittori francesi in viaggio in Italia, da Chateaubriand a Taine, e a Zola, hanno viaggiato conservando i pregiudizi”. Tutti allergici al barocco, “anche Stendhal”, attaccati a Raffaello, “l’alibi del loro neoclassicismo”. Sainte-Beuve ha, quando accenna all’Italia, la duplicità del romantico. Che rifiuta le rovine e ne è attratto.
André Guyaux, “Cette rapide ébauche déchirée que j’emporte de l’Italie”. Sainte-Beuve à Rome et à Naples, free online

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