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domenica 2 dicembre 2012

Il mondo com'è (120)

astolfo

Cellulare – Per i molti il telefonino non è un mezzo di lavoro o di contatto, ma un modo di sentirsi vivi per essere sempre presenti. Per la nevrosi (paura) di non essere, di non essere considerati.

Facebook – Il fenomeno è semplice. McLuhan già nel 1956, “Gli strumenti del comunicare”, diceva che l’elettronica avrebbe privato l’uomo della sua identità e della morale: “Le persone vanno al lavoro principalmente per leggere”.

Google - Simpaticamente legge i pezzi sul sito, e ne estrapola le frasi “migliori”, con sicuro fiuto letterario.

Guerra. Non può essere “giusta”, se non per una o più delle parti in causa. C.Schmitt, “Il Leviatano”, p. 84: “La guerra di stati non è né giusta né ingiusta. È un affare di Stato, e in quanto tale non le occorre essere giusta”. La “buona causa” è “un concetto discriminatorio di guerra (che) trasforma la guerra d Stati in una guerra civile internazionale”. Cioè una guerra di tutti contri tutti. Una guerra “totale”.
“Si è detto”, aggiunge Schmitt, p. 87, “che possono ben esistere guerre giuste, ma non eserciti giusti”. Non senza ragione sembra implicare il filosofo del dirotto: “Quando in chiusura del «Principe» Machiavelli afferma essere giusta la guerra, se è necessaria per l’Italia, e umane («pietose») le armi, se in esse riposa l’ultima speranza, tutto ciò suona ancora umanissimo a paragone della completa oggettività delle grandi macchine il cui perfezionamento si è realizzato in modo esclusivamente tecnico”. Macchine statuali e belliche.

Islam – È orientale. Del tipo di cui Goethe disse, nel “Divano orientale occidentale”, p. ): “L’orientale scopre in tutto l’occasione di ricordarsi di tutto… Abituato a connettere e a incrociare le cose più lontane, non si fa alcuno scrupolo di dedurre l’una dall’altra… le cose più contraddittorie”.
Goethe lo rilevava a proposito della lingua, o del gusto in letteratura – del “buon gusto”, ossia del pudore: “Di ciò che noi chiamiamo gusto, della separazione cioè del conveniente dallo sconveniente, non si può assolutamente parlare in quella letteratura”. Da tempo le “Mille e una notte” non scandalizzano il “nostro gusto”. Ma l’inabilità al principio di non contraddizione è stata intanto estesa alla “mentalità” islamica (araba), specie in politica.

All’opposto del rifiuto c’è un multiculturalismo realista più del re. A Natale del 2008, tra i presepi che esibivano la moschea, e quelli che eliminavano il Bambinello dalla capanna, molte famiglie islamiche si sono meravigliate e lamentate dei Natali poveri, dimessi a scuola. A opere di maestre magari beghine, ma vittime dell’età dei diritti, dall’algido moralismo cosmopolita, quando non della stupidità. Come le missionarie che vanno a sputare al loro Cristo sulle ferite infette della grande miseria africana.

È bastato poco ad Ahmadinejad per prendersi l’attenzione dei media in tutto il mondo. Il presidente iraniano è personaggio di poco conto, non rappresentativo, a capo di un paese che non ha mai registrato un solo episodio di antisemitismo. Ma gli è bastato dire che Israele sarà cancellata per fare la copertina in tutto il mondo.
C’è estrema sensibilità, in Italia, in Europa e nell’Occidente, su tutto quanto riguarda Israele, e su tutto ciò che si richiama all’islam: un senso generale di rifiuto. Un’avversione del resto non ingiustificata. Per il terrorismo odioso, dei kamikaze, delle bombe nelle moschee, le chiese e le sinagoghe, nelle scuole, nei mercati, contro i preti e i cristiani a uno a uno – è qualche secolo che i preti non ammazzano più nessuno, i cristiani, ma vengono ammazzati. È anche perché è un genere letterario opportunistico, essendo proficuo, quindi odioso.

Il rinnovamento politico dell’islam comincia con Khomeini, e ne riflette le ambiguità. La rivoluzione khomeinista passò come quella dei fiori – un po’ come oggi con le “primavere” arabe. Ma Khomeini non era un uomo pio, era un politico durissimo. Che passò un accordo anti-Usa con lo Sdece francese, i servizi segreti. Non un mistico. La ricca tradizione iraniana anzi dimezzò, anzi “atterzò”, anche la modernità faceva parte dell’Iran. E la ricca religione di Qom, la razionalità e la fede, ridusse a “oppio dei popoli”.
C’è distinta una razionalità nella domanda di Dio, e c’è il trucco, la confusione, la furbizia, di chi usa la religione come strumento di potere - “oppio dei popoli” poteva dirla il sarcastico Marx.

Italia - Non sa capitalizzare la sua storia.
Salvatore Scibona, il nuovo John Fante, sta in Italia un anno e non impara l’italiano.
Centomila studenti americani a Roma, Firenze e nelle altre città di tradizione universitaria, che non imparano nulla dell’Italia, a parte la pizza. Non l’italiano. L’Italia comunque non se ne cura, a parte gli affittacamere.
La cittadinanza italiana è difficile da ottenere. Ma non è molto richiesta. I più, soprattutto asiatici, sono in Italia, magari protetti dalla chiesa, in attesa di passare in Germania, in Canada o in Inghilterra, terre di domicilio eletto.

Le vespe che nascono dalla carcassa di un povero cavallo si dicono progenie di nobile destriero, il favorito di Nettuno, etc. Così gli “italiani d’oggi”, che si dicono eredi degli immortali antichi romani invece che dei loro cadaveri. Lessing, “Favole in tre libri”, 38.

Il telefonino lo usa quotidianamente un italiano su due, e lo usa attraversando la strada, guidando in città e per tornanti, parlando coi figli: non si vuole perdere neanche la più trascurabile occasione di contatto. L’Italia è sempre il paese delle piazze, delle passeggiate, dello struscio, del bar Sport, del contatto continuo, costante. Ma il telefono, già mezzo di contatto, è in questo uso una barriera. Come se l’italiano (su due) volesse erigere una barriera attorno a sé, o se ne sentisse attorniato e volesse romperla.

I calciatori Nesta e Totti hanno deciso nel 2006,  a trent’anni, e dopo essere stati omaggiati di una insperata vittoria al campionato del mondo, di non giocare mai più nella Nazionale di calcio. Per dedicarsi alle carriere nei club, dove sono pagati. Due casi unici, in Italia e all’estero. Ma le competenti autorità non hanno reagito e i due atleti sono amati dopo d’allora come prima. Senza contraccolpi di popolarità. Senza neanche un rimprovero isolato.
Si moltiplicano da allora invece le deprecazioni alla Montanelli, l’italiano indignato (“mi vergogno di essere italiano”). E le solite statistiche europee, che mostrano l’Italia al fondo di ogni cosa, meno ricca, meno pulita, meno educata, soprattutto in matematica, meno laica, meno progressista, restia perfino all’eutanasia e perfino meno bella. E più sprecona, più ladra, più corrotta, più mafiosa, anche se meno assassina e meno pedofila.

Twitter – A una ricerca di sei mesi fa, i dieci personaggi più influenti in Italia, a giudicare da twitter erano nell’ordine: Arianna  Ciccone, Andrea Sarubbi, Beppe Grillo, Beppe Severgnini, Giuseppe Civati, Giuliano Pisapia, Luca Sofri, Gianni Riotta, Roberto Saviano, Sandro Ruotolo.
Civati è uno che si voleva candidare alle primarie del Pd. Andrea Sarubbi è il deputato Pd “metà uomo metà twitter”. Arianna Ciccone ha un Festival internazionale del giornalismo.
Cinque giornalisti dunque, sei con Saviano, e quattro politici.
La ricerca è stata effettuata da Klout sui personaggi più importanti del G 20. È per questo che l’Italia è poco rappresentata internazionalmente? Tutti opinion makers, gli italiani di Twitter, ma di che cosa?

astolfo@ antiit.eu

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