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sabato 17 agosto 2013

Il mondo com'è (145)

astolfo

Avola – Oggi prospera, innovatrice nell’agroindustria, è stata a lungo sinonimo di povertà, per  essere stata teatro dell’ultima esercitazione militare dello Stato italiano contro i poveri. Nel 1968, alla fine dell’anno, della lunga stagione libertaria che rivoluzionò l’Italia. Con tiro a raffica. Non di notte, nella confusione, tra le ombre, ma alle due del pomeriggio. Il giorno di santa Bibiana, un lunedì, dopo la prima domenica dell’Avvento. Contro una manifestazione non diversa dalle altre, sulla S.S. 115, la strada per la marina, d’inverno, partecipi le mogli e i figli. Per il contratto dei braccianti. Il tempo di drizzare le orecchie, nella confusa protesta, e una trentina di villani erano a terra con molti proiettili, alcuni già morti – due per l’esattezza, ma alcuni dei 48 feriti furono ricoverati in condizioni gravi. La polizia usò il moschetto 91, le Beretta 9 e 7,65, il mitra Mab.
Al comando delle operazioni c’era il commendator D’Urso, un prefetto. Il commendatore, pio, lasciò passare la domenica dell’Avvento, che apre l’attesa del Natale, e lunedì, fatta indossare al vicequestore Camparini, nominato “comandante dell’operazione”, la fascia tricolore, e dati i tre squilli di tromba, fece tirare a volontà contro la plebaglia. “Il blocco deve sparire”, intimò il commendatore, che aveva esperienza di braccianti, già tre anni prima li aveva fatti sparare a Lentini, e ad Avola avrebbe voluto pure l’esercito.
Il giorno dopo la mattanza, la vertenza fu chiusa con piena soddisfazione dei braccianti di Avola: giornata di sette ore e cinquemila lire di aumento. I socialisti, tornati da poco al governo, vi radicheranno lo Statuto dei lavoratori, senza eccessive obiezioni, esattamente un anno dopo. Non una manovra politica, dunque, al governo c’era il centro-sinistra. Era il modo d’essere dello Stato, e di più della Repubblica.
Avola s’identifica per essere prossima a Cassibile, il luogo dove il 3 settembre 1943 il generale Castellano firmò la resa dell’Italia agli Alleati, annunciandola l’8 settembre. Data d’inizio della nuova Italia dopo il fascismo. Cassibile prende il nome da un breve corso d’acqua, il Kalyparis degli antichi greci, presso il quale il generale Demostene, con seimila ateniesi che si ritiravano lungo la via Elorina, dovette arrendersi nel 413 ai siracusani. Di onorata storia, testimoniata dall’antico borgo, manomesso dal terremoto del 1693, e dai palazzi ricostruiti con le chiese nel Settecento, ricca di colture per il combinato di acqua e sole in quella zona della Sicilia, tra Siracusa e Pachino, che si pensa corrosa dalla siccità, e di mieli di lunga vita profumati.
Braccianti e agrumari erano molti sulla terra ferace, trentaduemila nel territorio di Siracusa, ed erano  poveri, sporchi, analfabeti i più, incapaci di esprimersi, se non nella loro lingua contratta, in cui ogni suono, ogni mossa sottintende millenni di soggezione, malgrado l’importanza della loro funzione di coltivatori di primizie. La Sicilia presenta ancora questa mescolanza di opulenza, anche culturale, e estrema indigenza delle articolazioni mentali e linguistiche.
Il ministro dell’Interno Restivo li conosceva, essendo siciliano, sapeva che erano molti ma non sapevano contare. Che l’indigenza era cresciuta col terremoto che aveva aperto l’anno, morale e civile più che economica. Alla vigilia un altro siciliano, l’onorevole Scelba, presidente della Dc, aveva dettato condizioni dure al ritorno dei socialisti al governo dopo quello balneare dell’onorevole Leone. Il governo dispose poi la rimozione del questore, Politi. Ma calcolato era, e resta il fonogramma del ministro al commendator D’Urso: “Lo Stato non può cedere alla violenza”.

Giustizia - Un referendum contro l’errore giudiziario sembra una prevaricazione. Nell’attuale “sistema” giudiziario sì, in una qualsiasi forma di giustizia no. L’errore giudiziario non è un errore: è prepotenza. L’errore è prodotto dall’ira, l’errore giudiziario è frutto del pregiudizio. Si concretizza in lunghi, ripetuti, noiosi anche, giorni, mesi, anni di indagini e di cattiva coscienza, contro un solido principio: prima la colpevolezza, prima le prove della colpevolezza. Ci siamo disabituati, in un ventennio di mala giustizia, la mala pianta lombarda (ma era cominciata prima, con le stragi, la sopraffazione va per il mezzo secolo), a una giustizia prevaricatrice, che fa a meno di provare la colpevolezza – o di sanzionarla quando è provata.
Non c’è in diritto, oltre che in coscienza, altro itinerario di giustizia ma in Italia basta una soffiata a un giornale. In questa Italia ambrosiana che ci distrugge, tra finti mercati e reali soprusi. E quando non si sa che prove produrre, basta la formula “non poteva non”, ancora recentemente usata, per sanzionare. Come dire che un giudice “non può non” prevaricare? No, solo dopo aver demolito la vittima designata con la cosiddetta “opinione pubblica”. Cioè con la soffiata al giornale fidato, anzi al cronista giudiziario fidato, ogni giudice ne ha uno di fiducia: questa giustizia è come la mafia, affare di amici, e amici degli amici.

Internet – Google mi divide ora la posta in primary (personale), sociale e promozionale. E non sbaglia. Senza leggerla. Fantastico. È la materializzazione della Spectre: sa tutto di noi, senza testimoni, pentiti, delatori.

Islam - L’islam è vittima di se stesso, della lettera, dell’interpretazione autentica, di una filosofia politica ormai vecchia di otto secoli, e anzi di più. Per cui si può dire che non conosce la democrazia, non ne ha la parola. Che non ha nemmeno il popolo. Che non conosce la laicità, non ne ha il concetto. Mentre invece, come tutti, ci era arrivato: per gradi, per errori, con ripensamenti.
Sarà pur vero che non c’è nell’islam distinzione tra Stato e chiesa, ma perché non c’è chiesa nell’islam. Mentre c’era, e c’è, distinzione tra secolare e religioso, benché Lewis dica di no. È stato Khomeini a restaurare questa unità vecchia di un oltre un millennio, anche se aveva qualche antecedente nell’islam duodecimano. Non c’è teocrazia nel mondo islamico, questo Lewis lo spiega bene. Ma non è vero che non ci può essere dispotismo: sotto la forma moderna e ben più ampia del totalitarismo Khomeini l’ha introdotto. Questo era il timore costante di Alessandro Bausani, il pio e dotto iranista, già nel 1978, quando il fenomeno khomeinista cominciò a manifestarsi dalla Francia, e quando Bausani è morto, nel 1988, aveva avuto tristemente ragione.
Tutto il mondo islamico, soprattutto quello non arabo, non tribale, era avanti sulla strada della democrazia: se c’era un’area dove la democrazia attecchiva, all’infuori dell’Occidente e dell’India, era il mondo islamico, in Turchia, Pakistan, Indonesia, lo stesso Iran, e germogli se ne vedevano in qualche paese arabo – in tutto il Maghreb malgrado i regimi personali. 

L’islam è peraltro religione egualitaria, senza caste, aristocrazie, gerarchie. Ma, è vero, se rifiuta il privilegio, impone la disuguaglianza, tra padrone e schiavo, tra uomo e donna, tra mussulmano e non.

Repubblica del lavoro – Non è un pleonasmo, né il wishful thinking  che sembra: è un obbligo che la Repubblica a lungo non ha osservato. Nei suoi primi vent’anni col tiro ai lavoratori, nei secondi con le trame, nei terzi vent’anni col mercato (licenziamenti a milioni), e il mercato della giustizia.
Un conteggio dei primi vent’anni, a fine 1968, registrava 417 morti per mano di polizia e carabinieri  in servizio di ordine pubblico contro lavoratori in sciopero, o in manifestazioni per il contratto. In vent’anni ne aveva ammazzati più la Repubblica che il fascismo. La repubblica confessionale, timorata di Dio. E non aveva ucciso i nemici politici, gli oppositori, ma sudditi leali, sindacalisti, braccianti, operai.
Il paragone non è irriverente come sembra. Il fascismo era tirannico, la Repubblica no, ma questa è rispettivamente un’attenuante e un’aggravante, e non il contrario: il fascismo era il fascismo, la Repubblica invece ha ucciso i poveri. Contro la costituzione, il sindacato, i diritti dell’uomo. Nel fascismo c’era almeno una dialettica, tra regime e opposizione, padroni e lavoratori.
La vocazione autoritaria è agli albori della Repubblica. I soldati spararono, caduto Mussolini, contro chi chiedeva la pace e chi scioperava. Non i soldati di Mussolini, quelli di Badoglio e del re. In una settimana, tra il 27 luglio e il 3 agosto, fecero 76 morti, 146 feriti censiti, e mille arresti. La democrazia si è installata in Italia tornando alla tradizione antiproletaria sabauda. Mussolini non aveva mai osato tanto.

astolfo@antiit.eu

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