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venerdì 9 gennaio 2015

Letture - 199

letterautore

Acqua – L’acqua è in ogni pagina di “Addio alle armi”, il romanzone della guerra italiana prima e dopo Caporetto. Della pioggia, dei fiumi, delle pozze, dei laghi – del mare meno, anche quando siamo al mare. Ma è tema ben hemingwayano: piove con lui anche sotto il Kilimangiaro. È la mamma che è mancata? Facile tema.
L’acqua ricorre in Hemingway come la latinità, e l’africanità da lui sempre predilette, tra Italia, Spagna, Cuba, Florida e la caccia grossa – raccontata in realtà più che praticata: al campo Hemingway passava le giornate per lo più in vestaglia. Nelle aree della civiltà materna

Amore Un “sentimento religioso”, lo vuole perentorio  il conte Greffi di “Addio alle armi”, un nonagenario che viene dai “tempi di Metternich”, grande giocatore di biliardo e grande saggio. Uno che Hemingway non contraddice.

Complotto - È mancata finora la storia del complotto, nelle stragi di Parigi. Mentre c’è tutta. E naturalmente è letteraria.
L’uscita del romanzo antislamico di Houellebecq era per il 7 gennaio. E il 7 gennaio i fratelli Kouachi, due sbandati, attaccano. Con millimetrica accortezza: una redazione protetta dai codici di accesso, nell’ora in cui i suoi redattori di maggior nome sono convenuti. Uscendo da una macchina che ingombra la strada, con le portiere aperte, alla quale ritornano senza fretta per dileguarsi.
Oppure viceversa: c’era fretta di fare uscire Houellebecq il 7 perché quel giorno era in calendario l’attacco islamico. Il titolo del romanzo non c’era ancora un mese prima. Il testo non è stato disponibile in redazione prima di metà dicembre. È stato mandato in tipografia il 17 o 18, per una lavorazione – bozze, correzione, stampa, rilegatura, distribuzione – affannosa, stanti anche le tante feste. Contemporaneamente, in tre settimane,  un’operazione di traduzioni collettive-presentazione-pubblicizzazione senza precedenti è stata montata, con paginate in tutti i giornali europei.

Il 7 gennaio usciva anche Eco, col nuovo romanzo sul Mussolini trapassato ad altra vita ma non morto. Perché il male non muore mai? No, per un complotto.

Confessione – Nella forma della publicatio sui di Tertulliano è sempre stata una documentazione-esibizione pubblica di sé. Ma ora è di sego opposto. Era penitenziale: si vestiva un saio, di juta o altro tessuto povero, altrimenti nudi, il capo cosparso di cenere e anche il corpo, si digiunava, ci si esponeva in pubblico come peccatori nelle funzioni religiose, si supplicava, si piangeva, si facevano pellegrinaggi e gesti devozionali. Ora è trionfante. Magari per le stesse colpe, ma rovesciandone il senso: non si chiede perdono per la colpa, la si esibisce felici come un titolo di onore e una liberazione.
Oggi la confessione è esibizionista, è parte dell’esibizione di sé che è la cifra della contemporaneità. .Come nelle vecchie confessioni penitenziali pubbliche ogni remora o piega subdola esplorando e portando alla luce, anche inventando, perché no, seppure non più a fini edificanti: oggi si confessa a maggior spolvero e gloria. “Nihil abjectum a me alienum puto” si potrebbe dire la divisa della contemporaneità.

Giornali – Singolare dibattito oggi sul “Venerdì” tra Scalfari e Umberto Eco sul nuovo romanzo dello scrittore, “Numero zero”. Un dibattito in cui non si dice nulla. Anche nell’intervista ieri di Eco con Paolo Di Stefano sul “Corriere della sera” Eco è singolarmente muto. Forse perché sovrastato dal terrorismo a Parigi – quando si spara l’intellettuale si rotola ancora nella botte. Ma anche in questo dibattito pre-strage non si dice nulla.
Il romanzo tratta del giornalismo, lo insolentisce. Ma le sei pagine sono fitte di zero. I giornali si comprano sempre meno? Si leggono ancora meno? Si credono ancora di meno? Antonio Gnoli, uno che sa far parlare anche i filosofi, li pressa in tutti i modi, ma non ne spreme niente: il miglior giornalista e il miglior studioso di giornalismo e comunicazione non sanno che dire, a parte farsi i reciproci complimenti. Anzi nemmeno questo: Scalfari, come sempre scalpitante generoso, loda sempre Eco, Eco incassa e basta – un Eco pieno di sé?

Grande guerra – Il romanzo italiano della Grande Guerra che in questi anni si celebra è americano, quello di Hemingway. Non c’è il romanzo italiano di quell’evento che fu, ed è, determinante per la storia dell’Italia. Del Nord e del Sud. Del contadino e del borghese. Dell’Italia in Europa. Del Sud nell’Italia. Dello Stato e dell’anarchismo. Che invece ci sono, tutti (perfino, seppure di striscio, il Sud: “Vedi Napoli e poi muori è una buona idea”, etc.), in “Addio alle armi”.
C’è Malaparte, “La rivolta dei santi maledetti”, ma viene dopo, ed è un pamphlet antibellicista, di uno peraltro che era stato volontario a 17 o 16 anni – e procede per escandescenze, non è ancora il narratore sovrumano che sarà della seconda guerra, non tiene conto nemmeno delle efferatezze singole, documentate, della guerra stessa, come la rivolta e la decimazione della Brigata Catanzaro. Corrado Tumiati, medico arruolato, tentò un approccio, che però limitò ad alcuni racconti di “Zaino di sanità”, incisivi ma brevi, e di orizzonte circoscritto, sul singolo, sul lavoro spesso tragico in corsia, sul rapporto semplice con gli attendenti.
Il romanzo italiano della Grande Guerra è “Addio alle armi”. Vissuta e raccontata da un estraneo, per quanto volontario (per pochissimi mesi verso la fine), ma con partecipazione, e con intelligenza profonda. Una sorta di “Živago” alla rilettura, di forte emozione. Specie alla rilettura in originale, non affetto dal giovanilismo della traduttrice Pivano: solenne nella semplicità, mai sbracato, sempre conscio della gravità degli eventi. Con gli stessi ingredienti, curiosamente, che il romanzone russo della guerra, e più il film, illustrerà: le bombe, le ferite, le mutilazioni, il fango, la neve, la pioggia, i treni, le distanze, le separazioni, i ritrovamenti, le nascite, la morte. Con lo stesso spirito elevato, non limitato ai facili assiomi contro la guerra. Il romanzo della morte incombente, soverchiante, sull’amicizia, l’amore, ogni voglia di vita.

Non c’è nemmeno il film della Grande Guerra. Che pure si sarebbe prestata, con “Addio alle armi”. O con i tanti, troppi, giovani volontari patrioti: entusiasti, combattenti. Non gli “animali degradati dalla ragione”, cui Malaparte ridurrà i combattenti della seconda guerra in “Kaputt”, ma giovani di fede. Olmi, “Torneranno i prati”, lo sa ma ne limita l’impeto alla sconfitta, a un senso claustrofobico, remissivo, di sconfitta. “Tutti a casa” le fa torto in molti modi.

Puškin – Non è mai stato in Italia, ma era italiano di adozione. Il Puškin italianista si merita oltre trecento pagine del puškiniano Alexey Bukalov, che è il capo dell’ufficio di corrispondenza romano, Italia e Santa Sede, dell’agenzia russa Itar-Tass, nel volumone “Bereg dalnij. Iz zarubezhnoj Pushkiniany”, “La riva lontana. Gli studi esteri su Puškin” (in realtà sugli interessi esteri di Puškin). Bukalov approfondisce la “sensibilità universale”, cosmopolita, del poeta in riguardo all’Italia all’Africa. All’Africa perché il suo bisnonno era africano. Quanto all’Italia, era l’Europa di Puškin, forse più che la Francia.
Ha studiato l’italiano. Lo conosceva abbastanza per tradurre Dante e Petrarca. Bukalov ha repertoriato 94 “inclusioni” di testi italiani nelle opere di Puškin, che dice “sempre molto circostanziate e precise”. A suo parere, Puškin ha tratto dalla letteratura e le arti italiane molti motivi di poesia.

Riscritture – Consuete in musica, da parte degli autori stessi, o anche di altri, contemporanei o successivi, in uso nel cinema americano per i film di successo europei o asiatici, sono ora in auge alla tv: si fanno remake  di film di successo in serial tv. Film con storie per qualche verso morbose, “Hannibal”, “Fargo”. Per un pubblico del genere giallo-horror, o/suspense, e non generalista. Ma il secondo più grande pubblico dopo quello generalista.
In letteratura le riscritture si penserebbero marginali, essendoci il reato di plagio. Ma se ne fanno di più nel quadro del postmodernismo, del calco, l’imitazione, la copia d’autore. La letteratura anzi è a naso più seriale dei cinema.

letterautore@antiit.eu

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