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sabato 10 ottobre 2015

L’America scoperta dai Romani, con l’ananasso

Elio Cadelo, decano dei redattori scientifici della Rai, si dev’essere chiesto: se ci sono andati i vichinghi, senza lasciare traccia, perché non i romani? I romani antichi, beninteso. Che però qualcosa indietro hanno riportato: l’ananasso.
Elio ne ha scritto già una diecina d’anni fa: ci sono ananassi numerosi nella statuaria romana. Non suscitò echi. Allora si ripropone. Circostanziando la sua scoperta con tutto lo scibile disponibile: archeologico, astronomico, botanico, geologico, botanico, cartografico, nautico. In un empito di entusiasmo, si spinge anzi a sostenere che i romani navigarono “ben oltre la Nuova Zelanda” – nell’Antartico?
L’ananasso non è una  prova. Un frutto simile, l’annona, si coltivava nelle zone joniche della Calabria, sotto lo Stretto di Messina, e probabilmente in Africa. Ma poi l’annona è anch’essa caraibica d’origine, chissà, in Sud America ha il nome di chirimoya, e quindi l’ipotesi torna a reggere.
L’astronomo Giovanni Bignami, “scienziato e divulgatore”, argomenta la prefazione: perché no? Cadelo ha più pezze d’appoggio, bisogna dire, dei vichinghi. Noi ci avremmo messo anche la passione della Federazione per la Roma antica, repubblicana e imperiale insieme: Cincinnati, aratri, Campidogli, Senatus Consulti…Il divertimento è assicurato, tutto è possibile: coi vichinghi è un bel duello.
Elio Cadelo, Quando i Romani andavano in America, Palombi, pp.317, ill. € 15

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