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venerdì 9 ottobre 2015

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (261)

Giuseppe Leuzzi

I più felici al mondo sono gli svizzeri, là tra le montagne. Dopo gli svizzeri i più felici sono in Islanda: si vede che il letargo fa bene. Gli italiani e tutti gli altri dei paesi del sole vengono nella parte bassa della graduatoria della felicità, che l’Onu stila. L’avranno redatta gli esquimesi.
Ma non bisognerò rifare tanta letteratura, e tanta poesia, sul Sud? I mari, le stelle, il sole, i tramonti, le albe? È proprio un mondo capovolto.

“Libri di storia sbadatamente eurocentrici”, lamenta Paolo Mieli presentando il suo “L’arma della memoria”, contro il complottiamo e le altre semplificazioni, “che non raccontano di un Sud Italia annesso come fosse l’Africa”

La scomparsa del Mediterraneo
È la cancellazione del Mediterraneo all’origine della “scomparsa” dell’Europa? È arduo professarlo,  ma è così – è più probabile che sia così. La sua funzione di cerniera, tra l’Europa e il resto del mondo – a meno di non voler passare per l’inospitale Russia siberiana - è stata inalterata nei secoli. Anche dopo la scoperta dell’America. Ancora la seconda guerra mondiale è stata vinta nel Mediterraneo: gli Alleati hanno cominciato a vincerla in Nord Africa e in Sicilia. Nel Mediterraneo, a Suez, si è affermata l’egemonia americana su tutto l’Occidente, nel 1956, emarginando Francia e Gran Bretagna. Senza che tuttavia l’Europa perdesse la sua funzione: l’anno dopo si riscattava con la creazione del Mec, avviata a Messina nel 1957.
L’eclisse dell’Europa si profila col cancellierato Kohl, che volle la disgregazione della Jugoslavia per “annettersi” la Slovenia e la Croazia. Un’allegra cancellazione del Sud Europa che sfocia nella “guerra” alla Grecia e poi all’Italia. Parallela al disinteresse totale per le questioni mediorientali, per la Libia, per la Tunisia, per l’Egitto, per il radicalismo arabo-islamico, per le masse di immigrati disperati, già tremila morti affogati solo quest’anno (delle ultime centinaia non si dà più nemmeno notizia). Della stabilità politica del Mediterraneo, Turchia compresa. Degli approvvigionamenti energetici.
Annessione e guerra sono termini simbolici: non ci sono annessioni ma feudi politici sì. Né ci sono guerre, ma match truccati sì. Anche da un punto di vista etico, della responsabilità, non si può dire che l’abbandono del Mediterraneo sia stato proficuo, abbia portato più serietà nelle trattazioni, più certezze del diritto.
Si ragioni un momento per ipotesi in astratto. Come è possibile che l’Europa si concepisca tutta al Nord, quando è condizionata per la sicurezza, per l’approvvigionamento energetico, per l’ordine pubblico, per gli assetti demografici e sociali, dal Mediterraneo? Dalla frontiera euro-afro-asiatica?

L’economia della mafia
Si fa grande caso delle mafie, anzi si fa caso solo delle mafie, nell’economia e nella società, oltre che nel crimine. Che è anche giusto, ma a questo punto, dopo mezzo secolo di tutto è mafia al Sud, è anche perverso. Nel filone mafie del “terzo livello”, o terza generazione, o 2.0, dei mercati, della internazionalizzazione, della finanziarizzazione. Dopo la ricerca seminale del giudice Cordova e del sociologo Arlacchi, “La mafia imprenditrice”. Ma infine a vanvera, come gran parte della letteratura sulla mafia: nel quadro del facile respingimento del Sud alle corde, ma contro ogni logica – non è possibile, a quest’ora il Sud non esisterebbe.
Questo o sapeva già don Sturzo: “Se l’economia è speciale di propria natura, è di propria natura etica, cioè razionale; non si darà mai un’economia irrazionale: essa non sarebbe vera economia. Non esiste la pretesa economia dei cercatori d’oro, dei nuclei ex-lege, delle associazioni a delinquere…  Si tratta di sfruttamento di malfattori a danno della società, e anche a danno dei fuorilegge, non essendo ammesso l’abbandono dell’associazione delittuosa pena la vita”. Non è ammessa nemmeno la concorrenza, la proliferazione cioè delle mafie: le mafie si sovrappongono e si cancellano.

Fu il Sud a volere il Nord
La patria piemontese fu una scelta meridionale. Sottostante ai moti liberali, sarebbe stato il Regno del Sud a creare l’Italia unita, grande, popoloso, repubblicano. Non il Piemonte, piccolo e bigotto, stato cuscinetto tra la Francia e l’Austria, di una dinastia remota e di nessun merito. Se lo dice persuasivamente coi suoi compagni di prigionia Domenico Lopresti, il protagonista di “Noi credevamo”, il romanzo delle illusioni unitarie scritto da Anna Banti cinquant’anni fa. Deluso per di più dal “tradimento” di Carlo Alberto nel 1848.
Una verità che oggi universalmente si dimentica è che tutti i liberali negli anni 1840-1850 condividevano: “Una verità che oggi (fine Ottocento, n.d.r.) universalmente si dimentica è che tutti i liberali, moderati e democratici, monarchici e repubblicani, tenevano per certo che da Napoli partirebbero le iniziative per fondare, in Italia, uno Stato moderno. Che ai Savoia, altrettanto e più bigotti dei Borbone, fossero affidate le nostre sorti, non contentata nessuno. Che cos’era il piccolo Piemonte, di fronte al grande Regno del mezzogiorno?” Lopresti non dice però il seguito: che furono i napoletani e i siciliani a volere il Piemonte.
Cioè lo dice. I compagni ergastolani del nonno calabrese di Anna Banti, Carlo Poerio, Sigismondo Castromediano, Benedetto Musolino, si sintonizzano tutti sugli echi di rinascita che arrivavano dal Piemonte: le diplomazie di Cavour, la guerra di Crimea. Né ci furono poi resistenze contro Garibaldi, che con tutte le colpe di cui i Mille si macchiarono, fece una guerra di liberazione, nell’entusiasmo generale, e non di conquista – anche se la concluse a Teano. Ci saranno subito dopo resispiscenze, ma organizzative, e finiranno in Aspromonte, dove le residue illusioni legate a Garibaldi si spensero. Resterà il problema marginale dell’Italia con Roma e senza Roma, e a Roma col papa e senza il papa.
Il “Sud” era stato già settato, immediatamente con l’unità. Lazzari e camorristi a Napoli, briganti tra Basilicata, Puglia e Calabria, mafie a Palermo. Nient’altro: una gigantesca riserva di polizia. A opera per lo più di ministri e capi di governo meridionali.

Napoli
Renzi nomina un commissario per il recupero di Bagnoli, l’area industriale dismessa trent’anni fa, enorme, ingombrante, inquinante. Il sindaco De Magistris avvia tutte le procedure per bloccarlo, avendo dichiarato  la città “derenzizzata”.

Si può governare una città proclamandosi alternativi e anzi nemici del governo nazionale? A Napoli si può, l’alterigia non è mai troppa, e anzi paga.

L’area industriale di Bagnoli, enorme, tra Posillipo e i Campi Flegrei, è un tesoro. Potenzialmente. A Napoli non interessa arricchirsi.

Quando si trattò di costruire Eurodisney, Bagnoli partì preferita a Parigi perché l’area si sarebbe prestata meglio al progetto. Ma la politica napoletana la fece talmente difficile che il progetto fu sposato su Parigi. In un posto orrendo, 22 kmq. di barbabietole. Che ogni anno accolgono quindici milioni di visitatori, più che tutta Roma.

A Napoli la disoccupazione giovanile supera il 50 per cento. E i giovani occupati sono per due terzi sottoccupati. Come non detto.

Horace Rilliet, chirurgo svizzero che visita la Calabria nel 1852 al seguito di un Battaglione svizzero del re di Napoli, si sorprende a Pizzo che i cittadini ascoltino senza meraviglia il re Ferdinando II indirizzare la guarnigione in tedesco.
I Borboni di Napoli sono sommersi dalla gelatina del colore – parlano napoletano, ammiccano, fanno i furbi, dicono le battute. Mentre erano una dinastia antica, figli e mariti anche di principesse austriache – Ferdinando II ebbe dodici figli da Maria Teresa d’Asburgo, figlia dell’arciduca Carlo. E poi non avevano reggimenti svizzeri, bavaresi, austriaci?

Per non criticare il sindaco De Magistris, che non ha fatto nulla a Napoli, nel rione Sanità e negli altri quartieri popolari, la presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi attacca Napoli: “La camorra è un dato costitutivo della città”. Non attacca De Magistris per lealtà antirenziana, o connivenza. Mafiosa?

È città cannibale. Aveva fagocitato il Sud, in una capitale di vacuità. Oscura e quasi annulla una Campania invece attiva e ferace, la Terra di Lavoro, la Costiera, il Cilento, l’entroterra salernitano, l’Irpinia, il beneventano, le isole. Ma in attesa di fagocitare il tutto: lo ha già fatto con Caserta e Ischia, sta arrembando la costiera, fino a Positano, luogo non molto tempo fa tranquillissimo e operoso. E città che non demorde.

De Laurentiis, che non ne può più di De Magistris, lo attacca sullo stadio del Napoli. È sicuro di non farlo per questo rieleggere. Sul calcio la città fa sempre sul serio.

Non c’è dubbio che la legge Severino ha dato poteri eccezionali ai giudici contro la politica. Il peggior giudice può far dimettere un sindaco  o un ministro o inibire un parlamentare per niente. È la legge di un avvocato napoletano: pesa più in questa assurda legge il pagliettismo o la napoletanità?


Napoletani erano anche il presidente della Repubblica che la legge Severino volle e firmò, e la Corte Costituzionale che non l’ha abrogata. Si può anche arguire che tra napoletanità e pagliettismo non c’è differenza. Ah, la Napoli nobilissima! Di quattro quarti legulei?

leuzzi@antiit.eu

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