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martedì 10 novembre 2015

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (265)

Giuseppe Leuzzi

Ho fatto il “Vangelo”, dice Pasolini a Gideon Bachmann, al Sud e per il Sud: “Il Sud avrebbe dovuto riconoscersi meglio nel film, considerato il fatto che l’ho girato lì e di lì sono i protagonisti, il popolo, i paesaggi, e la vita rappresentata. Invece i meridionali non sono proprio andati a vederlo. Evidentemente sono meno cattolici che al Nord”. Nient’altro, compos sui: il Sud non porta all’autocritica, è uno specchio opaco.

Per fare un esempio di come il bisogno privi di libertà e cultura – tesi discutibile – Pasolini sceglie parlando con Gideon Bachmann nel 1965 la Puglia, “un esempio che conosco bene”: ”È sempre vissuta in uno stato di estrema servilità. Non ha mai avuto libertà, è sempre stata in uno stato di brutale necessità. E la Puglia non ha prodotto un poeta, non ha prodotto un pittore, non ha prodotto un filosofo. Non ha dato nulla”. La Puglia?

“Se pensate del bene, lo direte, ma inutilmente; non vi si crederà: noi siamo mal conosciuti; e non si vuole conoscerci meglio”. Lo dice la zarina Carlotta di Prussia, sposa di Nicola I, al marchese de Custine in veste di inviato speciale a Pietroburgo nel 1839 (l’aneddoto è in “Lettere dalla Russia”). Il pregiudizio prevale su tutto, e sopratutto sul giudizio.
Custine stesso ne penserà male, e scriverà cose orrende della Russia per un migliaio di pagine - a parte il piccolo snobismo di dirsi interpellato dalla zarina, aneddoto inventato, che gli insegna la verità che gli fa piacere (“si è sempre giovani di cuore e d’immaginazione”), e per questo fa eccezione, meritandosi questo ogni virtù. Del dispotismo e dell’asservimento al dispotismo – la servitù volontaria. Che però in Russia c’è – c’era.

L’associazione mafiosa
Succede nel giornalismo di non occuparsi mai di alcune cose. Succedeva fino a qualche tempo fa: chi faceva cronaca giudiziaria non si occupava mai di politica estera, ci vogliono le lingue, e viceversa, lo specialista di politica estera non si occupava di giudiziaria. Felicemente, bisogna dire – la giudiziaria è un trojajo. Ma quando capita, si ricorda meglio.
Una sola volta così è capitato d dover fare la giudiziaria in senso proprio. Un po’ per sostituzione estiva – d’agosto i giornali sono sguarniti – e un  po’ per tribalismo, consumandosi il fatto in Calabria. Nella sessione feriale del il giudice Francesco Colicchia decretò che in tutta Italia si registrassero tutti i versamenti o i ritiri in biglietti da centomila. Irriso unanimemente, il giudice Colicchia si difese on  semplicità: “Si sta per effettuare il pagamento di un riscatto e devo poter arrivare ai rapitori”.
Era a parlarci di spirito vivacissimo, il dottor Colicchia, e coraggioso. Nel gennaio 1978 aveva fatto condannare una ventina di ‘ndranghetisti teorizzando il delitto di associazione mafiosa, che trovava molti ostacoli al riconoscimento giuridico. Anche i collaboratori di Colicchia nell’indagine, il colonnello dei Carabinieri Morelli e il sostituto Procuratore Guido Papalia chiedevano la nuova specie di reato. Il comando dei Carabinieri disponeva di un voluminoso organigramma di tutti i gruppi mafiosi della provincia, costruito con le informazioni bancarie e il casellario penale della Francia, dell’Australia e del Canada – allora le banche erano impenetrabili in Italia, e non c’era un casellario unificato dei carichi pendenti.  
L’associazione mafiosa fu introdotta poi nel 1982, con la legge La Torre-Rognoni, ed è costata la vita al suo proponente, il deputato siciliano del Pci. Il colonnello comandante di Reggio Calabria, cui fu bloccato il passaggio a generale, preferì lasciare l’Arma e entrare nel privato. Il sostituto Papalia, inviso a Reggio, dovette cercarsi un’altra sede, e si è poi illustrato a capo della Procura d Verona. Il giudice Colicchia morirà qualche anno dopo. Dicono di crepacuore. Una cosca di Seminara, il suo paese, sotto processo per un rapimento di persona, ottenne il trasferimento del giudizio da Palmi a Reggio, e Colicchia, cui toccò di giudicare il caso, li assolse. Poi morì.

Calabria
Piovono in poche ore 60 cm. di pioggia tra Gioiosa Marina e Gioia Tauro, sui due versanti, Jonio e Tirreno, con venti a 80 km\h., facendo straripare i torrenti. Molte devastazioni, c’è anche qualche morto. Il “Corriere della sera” ne tratta con una pagina deprecatoria di un inviato, in un villaggio turistico che non gli è simpatico, che dice costruito in una zona (forse) a rischio, a 200 km. di distanza. Sempre in Calabria, però: la colpa è regionale, inestinguibile. Per le vacanze mal riuscite?
Nomini la Calabria, si accende una luce, sempre la stessa.  

Mezza alluvione tra Gioia Tauro e Locri. Campagne allagate, strade e ferrovie interrotte. C’è stato anche un morto. Poi due. E niente, nemmeno un’immagine, né nei giornali né nei telegiornali. La Calabria è in punizione? Non fa notizia – cioè: non gliene frega nulla a nessuno.

Mattia Preti a Roma e altrove. Portato da Vittorio Sgarbi. Anche per l’attribuzionismo, perché no, che trova nel Seicento una miniera. Ma il “cavalier calabrese” è di poco interesse in Calabria.

Antonio Leone, curatore della mostra di Preti alla Galleria Corsini a Roma, ne tenta una biografia, e dice che a 17 “fuggì da luogo nativo”, Taverna. Perché doveva “fuggire”? Tra l’altro per raggiungere il fratello maggiore Gregorio, che era a Roma apprezzato pittore. Perché dal luogo nativo si fugge.

È la regione che ha più avvocati per mille abitanti, 6,8.

Dei cinquanta “migliori vini” non uno viene dalla Calabria  I cui vini erano apprezzati unanimemente dai viaggiatori nel Sette e Ottocento. Anche nei primi del Novecento. È da lì che è cominciato il regresso?

C’è un senso tattile della decadenza della provincia di Reggio Calabria, una volta la più ricca della regione, e una delle più ricche in assoluto subito dopo la guerra – quando più del reddito contava la disponibilità di cibo. Le strade abbandonate, l’aeroporto semichiuso, rifiuti dappertutto, non raccolti da decenni. Ma più c’è un senso “certificato”: la piana di Gioia Gauro, che ha l’ulivicultura a maggiore intensità mondiale, non ha un olio dop. La carta dei vini Michelin si ferma implacabile a Vibo e Catanzaro: il greco di Bianco, lo zibibbo di Bagnara, il cerasuolo di Palmi, scomparsi. Scomparsi anche gli agrumi, a coltivazione già intensiva nella piana di Gioia con centro a Rosarno, e nei dintorni di Reggio con specialità a fruttificazione anticipata e posticipata – qui in favore di costruzioni polverose interminate.

Taranto, distrutta dai Goti, si ricostituisce in piccole dimensioni con  profughi calabresi – G. Berto, “Il mare dove nascono i miti”, 97. Profughi dagli stessi Goti.

leuzzi@antiit.eu

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