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lunedì 9 novembre 2015

L’immigrazione fa bene

Depurata dei barconi della disperazione, e dei campi di rifugiati, ormai innumerevoli in Africa e in Medio Oriente, l’immigrazione fa bene e non danni. È sempre stato così e continua a esserlo, per chi emigra e per i popoli e i luoghi presso cui approda. Diventa nociva in casi specifici. Quando copre criminali e traffici illeciti, e quando, appunto, non è governata. Come avviene in Europa.
L’emigrazione c’è sempre stata. E tanto più è necessaria ora all’Europa in crisi stabile di nascite. La demografia vuole un coefficiente di fertilità – nascite per donna fertile – di 2,1 per mantenere stabile la popolazione, mentre l’Europa viaggia ormai da tempo sull’1,6-1,5. Con l’Italia e la Germania meno prolifiche di tutti, il coefficiente di fertilità approssimando alla metà di quello necessario per riprodurre la popolazione.
È in questa chiave che Angela Merkel ha detto: “Si può fare”, è gestibile. La Germania federale ne ha lunga esperienza, avendo dovuto sopperire alla mancanza di maschi in età lavorativa nel dopoguerra, e successivamente per un’offerta di forza lavoro insufficiente rispetto alla domanda del sistema produttivo. Lo ha fatto con le gigantesche immigrazioni forzate dall’Est, otto milioni di persone sloggiate dalla Russia e dalla Polonia, e poi con i Gastarbeiter del Sud Europa, italiani, greci, spagnoli, portoghesi, jugoslavi. Per una terza ondata di lavoro immigrato ha fatto – e continua a fare – ricorso in Turchia. Ora può aprire una quarta fase, verso gli arabi: siriani, iracheni, nordafricani.
Il governo dell’immigrazione in effetti non è difficile. Consta di due fasi: l’accoglienza e l’integrazione. Sull’accoglienza l’Italia, paese di frontiera, si è portata a buoni livelli. Sfama bene o male e alloggia le centomila emergenze, quelli dei barconi. E integra in qualche modo ogni anno 150-180 mila nuovi immigrati, con un’attività e in cerca di un permesso di soggiorno. Ma questo con difficoltà: l’Italia non ha un programma d’integrazione.
L’integrazione si fa attraverso la formazione accelerata, di lavoro e linguistica. Su questo aspetto la Germania è invece più avanti – fare il caso dei paesi scandinavi non è d’aiuto, lavorano su piccoli numeri. La Germania integra ogni anno sui 300 mila nuovi immigrati. Con gli stessi abusi che in Italia: salari in nero, niente minimi, nessuna forma di sicurezza. Ma anche con una politica efficace di formazione e istruzione.
Il beneficio per la Germania delle politiche dell’integrazione è duplice. Da un lato ha una forza lavoro produttiva, semispecializzata e non solo generica. Dall’altro stimola nuovo potere d’acquisto: l’immigrato integrato entra nell’ottica nazionale, abbandonando le sudditanze psicologiche ereditarie che aveva alla partenza. È solo in Italia che il polacco o il rumeno immigrato, magari da vent’anni, compra solo tedesco, o il maghrebino solo francese. 

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