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domenica 3 gennaio 2016

La guerra per un gasdotto – che non si fa

Non si percepisce la ragione della guerra continua da quindici anni in Afghanistan, con la partecipazione dell’Italia, se non per un progetto di condotta  per il gas. Un progetto da poco, che però assorbe la diplomazia americana, il lobbysmo che le sta dietro. Per questo progetto furono favoriti i talebani vent’anni fa, e anche ora si cerca un’intesa con una fazione di talebani “ragionevoli” per riavviarlo.
Il gasdotto sembra un affare politico di poco conto, e lo è, ma non si trova altra ragione per una guerra continua ormai da quindici anni. Sembrava da ridere qualche anno fa il volume Feltrinelli di Ahmed Rashid, giornalista pakistano, abbellito col titolo “Talebani”, un lungo articolo sul tema del sottotitolo, “Islam, petrolio e il grande scontro in Asia centrale”. Se non che il petrolio non c’era, il gas era del Turkmenistan, Stato non propriamente centrale nell’Asia centrale, e il grande scontro era tra la Unocal, società petrolifera della California (ora confluita nella Chevron), con la Delta dei principi sauditi, e una sconosciuta e forse inventata ditta argentina. Ma non era da ridere, era invece la realtà, e continua a esserlo.
Unocal annoverava e annovera tra i suoi consiglieri d’amministrazione gli ex ambasciatori americani in Afghanistan, Pakistan, e probabilmente Turkmenistan. Ha contato e conta sul dipartimento di Stato, quello di Bush e poi di Obama – quello del primo Obama, con Hillary Clinton, senz’altro. Fin dagli inizi  Unocal e i suoi diplomatici sono stati favorevoli ai talebani – fin dagli inizi del movimento talebano, vent’anni fa - il 27 settembre 1996 i talebani occupavano Kabul. Messo in mora successivamente da movimenti femministi Usa - nonché dal ribasso fine anni 1990 del prezzo del petrolio – il progetto è rifiorito da una diecina d’anni. Ingigantendosi, anche per garantirsi la redditività: al Pakistan è stata aggiunta l’India quale recipiente del gas turkmeno. Tra un’intensa attività diplomatica.
La vigilia e il giorno di Natale sono stati presi da vorticosi contatti tra Ashraf Ghani, presidente afghano, Nawaz Sherif, primo ministro pakistano, e il presidente indiano Modi, per varare il Tapi, il gasdotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India. Con una portata più che raddoppiata rispetto a vent’anni fa, a 33 miliardi di metri cubi l’anno. Un’opera che i social media, opportunamente manipolati, hanno dato immediatamente per fatta. Mentre il finanziamento è ancora da decidere. E anche il tracciato. E resta aperto l’abisso tra Pakistan e India per via del Kashmir. Con scambi ridotti al minimo: l’India assorbe l’1 per cento del pil pakistano, il Pakistan lo 0,1 per cento del pil indiano.

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