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lunedì 4 gennaio 2016

Letture - 241

letterautore

Ariosto  - L’“Orlando” è “Star Wars”, quasi alla lettera, eccetto i nomi. Meccanismi (marchingegni, voli interplanetari, animalismo), personaggi fuori misura, follie, fantasie, imprese e sconfitte, tutto Ariosto ha anticipato. Anche le eroine donne, quali ora la serie si avvia a promuovere.

Comico – “Il riso è satanico, e dunque profondamente umano”: è il nocciolo del lungo saggio di  Baudelaire critico d’arte sulla caricatura, “De l’essence du rire, et généralement du Comique dans les Arts Plastiques”, 1855 (rifatto nel 1857).  Satanico in quanto promana dall’“idea della propria superiorità”. Umano in quanto è “insieme segno di una grandezza infinita e di una miseria infinita”, rispetto agli animali e rispetto all’Assoluto.

Baudelaire assegnava il riso al Novecento, alla letteratura del ventesimo secolo. Dove però non se ne trova quasi traccia. Eccetto che in Kafka naturalmente, e in Brecht, a denti stretti. E in Céline, ma allora dichiaratmente satanico. Solo in Italia è profuso, in moltissimi autori e in forme elaborate: Pirandello, Svevo, Gadda, Calvino, Palazzeschi, Primo Levi, Arbasino, Savinio, Parise, Flaiano, Brancati, Soldati, Delfini, Campanile, Zavattini, Bontempelli, Marinetti, Malerba, Sciascia, Cavazzoni. Anche Landolfi, Manganelli, Celati. Lo stesso Fenoglio. Montale pure, in molte prose, e anche poesie, Noventa. E Dario Fo, Eduardo De Filippo. Per un bisogno di rottura, di uscita da un conformismo spento?

Il comico (satirico, giocoso, osceno) ha un Italia una tradizione, ben solida, fin dagli inizi, da Cielo d’Alcamo. Con innumerevole seguito: Angiolieri, Boccaccio, Bandello, e innumerevoli altri novellieri, Berni, Aretino, Grazzini, Folengo, Basile, Belli, Porta, Dossi, perfino Manzoni. E l’opera, buffa e seria. Non casi isolati, una “Madre Coraggio” o una “Nave dei folli”, o un genio sparso, ma proprio una tradizione, con continuità.    

Dante – Fu condannato a morte tre volte.

Estrovertito, anche molto, nella vita e nell’opera, nella “Commedia” sarebbe ombroso e anzi misterioso. Contini lo vedeva ammirandolo così, per l’assenza-presenza di Cavalcanti nel poema, ma non solo: uno “i cui silenzî, le cui reticenze, le cui oscurità e ambiguità sono ferree quanto tutto il resto”. Per eccesso o per difetto? Per voler dire la verità di troppo, o per voler celare una o due cose magari essenziali?
La verità è che è troppo chiaro su troppe cose.  Il giallo Dante non funziona, le sue tante reincarnazioni misteriose non fanno presa.

È il creatore dell’Italia per più di un aspetto. Per la lingua certamente, imposta d’impeto – san Francesco poeta prima, ma con una lingua stenta, nodosa. E della società civile, al tempo in cui i Comuni cedevano alle signorie: del bene e del male, della politica a portata di mano e quasi democratica, dell’indignazione tanto contemporanea – come della misericordia del papa argentino (“Purgatorio”). Della lingua non si può calcolare l’importanza, poiché l’italiano ha modellato nella forma, nelle metriche, anche nelle parole – i suoi neologismi saranno un migliaio. “La inventò a tavolino”, si può dire con Enrico Malato. Ben in anticipo e in diverso modo che le altre lingue “nazionali” in Europa: in Francia, Inghilterra, Spagna la lingua s’impone attraverso le armi, è la lingua della fazione vincitrice, e matura due-tre secolo doo l’italiano.

È attuale ma all’opposizione. È per questo che i 750 anni della nascita, una ricorrenza pure molto importante, si chiude senza alcun contributo. Nemmeno, anzi, una celebrazione.

Fascismo – Si vuole monumentale nelle ricostruzioni postbelliche, specie a sinistra, come avrebbe voluto essere e si pretendeva. Pasolini da ultimo, che l’ha fatto scultoreo, e Bernardo Bertolucci, con donne apache in stivali maschili, mentre era popolato di falsi invalidi.

Giallo – In nessuna forma è domanda di giustizia: è lo spettacolo del delitto, che così si remotizza, si dissolve. Non nella forma classica inglese, da W.Collins a Conan Doyle e Agatha Crhste, dell’enigma da chiarire – lo schema ripreso da Vazquez Montalbàn e Camilleri: tra i buoni e i cattivi e i così-così, ma senza macabro né horror. Non nel noir americano, che ora domina in Italia, di Ammanniti o Carrisi – che giustamente sintetizza così la questione: “La giustizia non fa ascolti. La giustizia non interessa a nessuno. La gente vuole un mostro, e io glielo do”. Non nelle forme più “umane” e “sociali”, di personaggi e ambientazioni dal vero, Simenon, Graham Greene, Margaret Millar.

Giuda – Ritorna con Amos Oz e Zagrebelsky quale nuovo paradigma del bene, più umano. E come quello che tradisce a fin di bene. Già quello di Caillois, in “Ponzio Pilato”, il racconto del 1962, si dichiara “strumento della divina Provvidenza, per realizzare il disegno del Padre. Col mio misfatto, tutto sarà compiuto”. A Ponzio Pilato assicura: “Sono come te, Procuratore, ministro del Divino Sacrificio… Non sono una spia, non sono un traditore. Sono, come te, l’esecutore della Volontà divina”. E anche: “I nostri due nomi, associati per l’eternità, il Vile e il Traditore”, sono “in realtà il Coraggioso e il Leale per eccellenza”. È il Giuda dei vangeli gnostici. Già ripreso da Borges, “Tre versioni di Giuda”, 1944, ora in “Finzioni”.

Guerra – Se ne scrive molto, in poesia e in prosa, ma dopo. L’unica opera coeva alla guerra, le “Considerazioni di un impolitico” di Thomas Mann, sono un obbrobrio, di odio e pregiudizio, una forma della propaganda di guerra. Durante la guerra, invece, si scrivono leggiadrie, di ogni genere, fantastiche, storiche, romantiche. È il caso di Borges e altri sudamericani. Ma anche di scrittori di nazioni in guerra, soprattutto francesi, nella Francia occupata: Sartre, Colette, Montherlant, Aragon, Mauriac, Céline – non Gide, né nella prima né nella seconda guerra. Steinbeck, Faulkner, non Hemingway. Brecht e non Thomas Mann. Un censimento della produzione letteraria degli anni di guerra, 1914-1918, 1939-1945, darebbe sicuramente sorprese.

Identità nazionali – C’è chi si forma su Dante e Petrarca – anche su Boccaccio, E chi su Faust e Guglielmo Tell. Le letture fanno molto in tal senso – è un tema vecchio ma trascurato dalle moderne ricostruzioni dei “caratteri originari” o delle identità. Letture che sono peraltro determinate dallo Stato, dai programmi scolastici. C’è chi ride e riflette insieme, con Shakespeare. E chi si disincanta presto, con Don Chisciotte. Per non dire dei russi, tra Gogol’ e Tolstòj, con un tocco di Dostoevskij. E la Francia tra Racine e Molière, il sublime e il critico.

Lorem ipsum Il testo “segnaposto” che si usa in grafica e in tipografia, per esempio per riempire i numeri zero dei giornali, per provane la fungibilità grafica, è in lingua latina montata a caso, con effetto maccheronico, da un testo di Cicerone, “De finibus bonorum et malorum”, 45 a.C., §§ 32-33, con inserti ironici. È utilizzato perché offre una distribuzione delle lettere uniforme, a identici intervalli. Risale all’anno 1500, quando un tipografo ignoto lo compose per far risaltare la bontà dei caratteri che aveva fusi.

Partito politico –“Ogni creatore di partito si trova necessariamente in cattiva compagnia”, è pensiero di Baudelaire prima di Grillo, che non riusciva a impegnarsi in politica (in un progetto d’articolo intitolato “Poiché c’è il realismo…”, 1855). La convinzione Baudelaire dirà, in “Il mio cuore messo a nudo”, 1864, criminale: “I briganti soli sono convinti – di che? – che devono riuscire. E così, riescono”. Concedendo tuttavia: “Si possono fondare imperi gloriosi sul crimine, e nobili religioni sull’impostura”.

Pasolini - – La sua metafora del Palazzo è di Guicciardini. Nei “Ricordi”: “E spesso tra ‘l palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso che, non vi penetrando l’occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello che fa chi go-verna o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in India”. Non vi stupite, scrive Guicciardini, se si sa poco di epoche o posti remoti, giacché “non s’ha vera notizia” delle presenti nella nostra città. Anche questo potrebbe essere detto oggi.
Il “palazzo” il Castiglione pone a Urbino. Ma Palazzeschi l’ha scovato a Venezia, quando il Doge cessò d’affacciarsi al balcone, creando“un caso di originalità sbalorditiva” e “un risultato scientifico di prim’ordine”, il vuoto realizzando una corrispondenza senza precedenti tra il governante e i sudditi.
“Uomo del Guicciardini” dice De Sanctis quello che non ha fede.

letterautore@antiit.eu 

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