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lunedì 4 giugno 2018

Le radici giocose di Primo Levi

C’è Roger Vercel, all’anagrafe Roger Cretin, di cui Levi comincia a leggere un romanzo il giorno in cui i tedeschi abbandonarono Auschwitz, una prospettiva lasciando di fame e gelo, di morte. E questo in qualche modo va con Primo Levi – anche se, o forse perché, Vercel era un antisemita. Ma le sue letture di formazione, da Rabelais a Stefano D’Arrigo, sono un altro Levi. Sorprendenti, cioè. Lui stesso lo dice in premessa a Rabelais: gli “sono fedele da quarant’anni senza assomigliargli minimamente e senza sapere con precisione il perché”. Per un motivo però che sapeva: “La ricerca delle proprie radici è opera notturna, viscerale e in gran parte inconscia”.
È un libro curioso, l’antologia personale di Primo Levi, trenta letture di autori su cui si è format, da piccolo e d a grande (Celan, T.S.Eliot, B.Russell). Un’idea editoriale per le scuole che Bollati aveva proposto, allora per Einaudi, ad alcuni scrittori. Solo Primo Levi onorò l’impegno, e allora Einaudi decise che era opera di narrativa, che meritava comunque gli “Struzzi”, tra i romanzi e i racconti. Ma non ci sono molte curiosità, a parte il rilievo della vena giocosa, l’uso allegro della scrittura – disinvolto, inventivo: con Rabelais (ma anche l’“eccessivo” D’Arrigo va in questo senso) ci sono Swift, Belli, Porta e Aleichem, e di Marco Polo c’è “Il mercante curioso”. Un aspetto trascurato di Primo Levi, ma importante fin dagli esordi, con “La Tregua” se non già in “Se questo è un uomo”. Qui rintracciabile fin dalla premessa, antifrastica: “Quanto delle nostre radici viene dai libri che abbiamo letti? Tutto, molto, poco e niente: a seconda dell'ambiente in cui siamo nati, della temperatura del nostro sangue, del labirinto che la sorte ci ha assegnato”.
Con la presentazione di Calvino e una nota di Marco Belpoliti.
Primo Levi, La ricerca delle radici, Einaudi, pp. XXXII-242 € 11,50

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