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domenica 3 giugno 2018

Più Europa e non meno, meno provinciale

È il governo figlio di Monti, ribelle: il governo dell’anti-Monti. Tra la Lega, che fu l’unico partito a non votare la fiducia a Monti, una sorta di governo di salute pubblica, e i 5 Stelle, che col governo Monti in un anno diventarono il primo o secondo partito d’Italia, mentre i molti scappavano nell’astensione.
Si celebra il governo Monti come di grande statemanship. Mentre fu un governo ridicolmente provinciale, se non lo fosse stato tragicamente. Dell’Italietta che va a scuola a Bruxelles, e da che maestri. Gli ha votato contro, e continua a votare contro quel fantasma, la maggioranza degli italiani. Che sono europeisti. Per storia e sentimento. Ma sanno, sentono, anche confusamente, che l’Europa dopo la Germania unita è una consorteria e non una famiglia. Una sorta di cupola di famiglia mafiose, unite dal proprio individuale interesse.
Nessun governo italiano, populista o sovranista che si voglia chiamare, è un governo anti-Europa. Non può esserlo, lo sanno anche gli uscieri. Queste sono rimasticazioni di un giornalismo stanco, mediato purtroppo anche dal presidente dell Repubblica. E del partito Democratico che sembra non voler capire nulla – a differenza per esempio di Berlusconi, altro apparente emarginato. Un governo può essere sovranista solo in un senso: partecipare all’Europa con pari dignità.
Questo lo dice Savona? Ma Savona dice meglio di quanto dice, per esempio, Mattarella.
Nessuno contesta, probabilmente nemmeno al Quirinale, che l’Italia sia stata e sia trattata da partner inferiore: immigrati, finanza pubblica, politica estera e di difesa. Ma bisogna anche prendere atto che questo è avvenuto per l’incapacità dell’Italia, da Monti a Gentiloni: troppi sorrisi e troppe fregature. Non amichevoli e anzi apertamente ostili. Nei deficit di bilancio, per esempio, della Francia, o in Libia. O nel linciaggio delle banche italiane mentre vanno in gloria i crediti insoluti tedeschi. 
Troppo vecchio democristianesimo, anche, dell’Europa come residuale, rispetto al Grande Gioco politico interno e come “vincolo esterno”. Il vecchio provincialismo prima di Monti: la politica politicante, per quanto misera, si vuole ancora, 2018, un Grande Gioco, onnivoro. 

“La crisi”, diceva Gramsci, “consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. Coraggio, i voti ci sono. Manca la determinazione? Machiavelli se ne diceva sicuro, che “Il principe” chiude con Petrarca: “Virtù contro a furore\ prenderà l’armi, e fia 'l combatter corto”. Nessuno più (li) legge, ma il fatto c’è, di necessità.

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