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sabato 4 agosto 2018

Il mondo com'è (349)

astolfo

Islam – “L’Islam è un messaggio di armonia, di pace, di convivenza con l’altro. L’altro non solo inteso come essere umano ma anche come altro nell’ambiente, altro nell’arte, altro nella cultura” – l’imam di Firenze Izzedin Elzir. Sì, ma. Non c'è dubbio che i negrieri oggi sono musulmani. Sono musulmani anche nell’organizzazione, in Iraq, Siria, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, e in Africa subsahariana. Non c'è dubbio che i governi ci marciano, in Libia. E in Turchia. In Turchia, per esperienza personale, non c’è centimetro quadrato non presidiato da una polizia occhiuta (questo prima di Erdogan), anche nei posti più remoti, solo i gommoni sfuggono, e le carrette del mare, per anni da Smirne a Crotone, l’antica rotta della Magna Grecia, poi nell’Egeo, sulle isole greche immiserite. Non è troppo ipotizzare che ogni tanto la Turchia, dopo avere incassato sei miliardi dalle Ue per mantenere i profughi, l’anno, li ributti in mare in odio alla Grecia, e anche alla Ue.
Tutto ciò è chiaro. E purtroppo riguarda l’Europa, gli Usa in questo non ci salvano. L’Europa nel Mediterraneo, che come si sa non “esiste”. L’Europa verso l’islam. Invadente e non rispettoso. Soprattutto le donne islamiche, propagandiste furbe e determinate di valori familiari e costumi, abbigliamento compreso, dirompenti.
I socialisti danesi manifestano per il “diritto” delle donne mussulmane di coprirsi di nero da capo a piedi. È una concezione strana del diritto. Il divieto del burka in pubblico lede “la professione di fede” islamica, argomentano. Ma che c’entra la religione col telo nero? Lo sanno pure i sassi, non è ignoranza: è una assurda concezione dei diritti.
Le sei sorelle Azmi, 14-25 anni, veli intorcinati e gualdrappe nere, passano il tempo libero giocando a hockey, e sono per questo virali in Canada, dove vivono, simbolo dell’integrazione felice. Il problema con l’islam sono le sue donne – non ne sono vittime.

Manomorta – Prima che l’assistenza ai poveri si “pubblicizzasse” e si accentrasse nello Stato, altre forme di sostegno erano organizzate ovunque. Nella cristianità, dall’Inghilterra a Creta, l’assistenza ai poveri era praticata da monasteri e corporazioni ecclesiastiche. Per un motivo, spiega il sociologo Simmel, 1908, nel saggio “Il povero”: “Solo la proprietà di manomorta (stato dei beni appartenenti a soggetti morali: associazioni, comunità, ospizi, etc,), possiede l’indispensabile continuità da cui dipende necessariamente l’assistenza ai poveri”.
In questo contesto, Simmel rileva: “Questa relazione è illustrata in modo negativo dalla reazione provocata dal clero romano in Inghilterra, che trascurò di assistere i poveri”.
In Italia andò diversamente – ma anche in Inghilterra: l’accusa che Simmel recepisce faceva parte della propaganda antipapista, le parrocchie cattoliche e i monasteri assistevano i poveri, e continuarono, anche quelle residue dopo lo scisma. In tutte le regioni italiane, e di più nel Regno delle Due Sicilie nella città di Napoli. Dove Pasquale Villari, nella primissima polemica contro il neo costituito Stato Unitario, già nel 1861-1862 denunciava l’abbandono dei poveri con la nazionalizzazione della manomorta: la chiusura e l’appropriazione dei grandi conventi aveva lasciato i poveri nella ex capitale affamati e senza cure.   
Questo detto da destra: “L’eterna teoria del lasciar fare e lasciar passare mi pare che non debba applicarsi senza qualche restrizione; giacché altrimenti passano solo la miseria e la corruzione”. Villari non fu l’inventore della questione meridionale, contrariamente alla vulgata (quello sarà Salvemini, di Villari allievo: “L’unità d’Italia è stata per il Mezzogiorno un disastro”), lui era un unitarista convinto. Ma aveva il senso della questione sociale.
Quando pubblicò le “Lettere meridionali” più tardi, nel 1876, lo storico espunse queste prime che aveva mandato alla “Perseveranza” di Milano nel 1861 e nel 1862 - di cui già aveva fatto una  plaquette. Qualificandosi più per propugnare una politica liberale, che oggi di direbbe di sinistra: “Quando io penso a quello che ha fatto in questi ultimi anni il Ministero conservatore dell’Inghilterra (dove lo storico napoletano aveva risieduto, n.d.r.) in favore dei poveri… mi sento per la vergogna salire il rossore sul volto”.
Sono leggi di cui dà il dettaglio Simmel mezzo secolo più tardi. C’è un “substrato fermo” nell’assistenza ai poveri, argomentava, un collegamento con beni non alienabili e comunque durevoli: “Il legame dell’assistenza col fermo sostrato delle risorse sociali appare evidente nel legame stabilito più tardi in Inghilterra tra l’imposta per i poveri e la proprietà immobiliare; e questo sia a causa che per effetto del fatto che i poveri erano considerati come un elemento organico della terra, appartenente alla terra”. In un primo momento, quando si fecero la prime leggi contro la povertà, nel primo Ottocento. E anche in un secondo: “La stessa tendenza si manifestò nel 1861, quando una parte degli oneri sociali fu legalmente trasferita  dalla parrocchia all’associazione di assistenza sociale. I costi dell’assistenza ai poveri non furono più a carico delle parrocchie isolate, ma di un fondo al quale le parrocchie contribuivano in funzione del valore delle loro proprietà immobiliari”.
In Italia il governo piemontese puntò invece all’appropriazione pura e semplice della manomorta, indifferente alla sua funzione sociale. Una sorta di nazionalizzazione, in termini odierni, ma impropria: l’appropriazione non era da parte dello Stato, ma dello Stato per i privati cui retrocedeva i beni a prezzo vile, senza più funzione assistenziale. In Italia come già in Francia, di cui questi nuovi ceti, così liberamente “capitalizzati” dalla rivoluzione, erano figli. Che hanno prosperato appropriandosi dei beni ecclesiastici, talvolta da beghino.  È il fattore che distingue la borghesia italiana (e francese) da quella anglosassone.

In Due delle lettere meridionali di una seconda serie, 1876,  al direttore dell’ “Opinione”, Villari faceva anche analisi tuttora valide de “La camorra” e “La mafia”, legandole all’eversione della manomorta. Villari pone l’origine della camorra nell’abolizione del feudalesimo e nell’unificazione dell’Italia. Nell’uso spregiudicato dei camorristi come gestori dell’ordine e del commercio da parte di Liborio Romano, il ministro borbonico dell’Interno passato con Garibaldi, e dei nuovi amministratori. E nell’abbandono a se stessa della plebe da parte dello stato unitario. Mentre in antico la Corte, le grandi famiglie e i conventi davano di che vivere alle masse. C’era un equilibrio, seppure non produttivo.

Novecento – “Il secolo dei totalitarismi e delle idee assassine”, Robert Conquest. E di che altro? La penicillina, e la bomba atomica - il vaccino Salk va con la poliomielite, che sicuramente è indotta dal modo di vita. È il secolo del motore a scoppio, dell’incenerimento dell’aria, dell’avvelenamento dell’atmosfera. Non solo in Europa – l’Europa vi ha perduto la centralità: totalitarismi, idee assassine, plastiche indistruttibili e fumi sono di tutto il mondo, proporzionalmente più che in Europa – al netto d Hitler.
È il secolo del più che raddoppio delle aspettative di vita. E della demografia galoppante: la popolazione mondiale è passata da 1,6 miliardi nel 1900 a 7,6 miliardi oggi.

Pisacane – Il teorico più lucido della rivoluzione politica nella rivoluzione nazionale italiana aveva compagno di ventura nell’insurrezione fallita a Sapri, dove lasciò la vita, Giovanni Nicotera. Che invece si salvò. E diventò presto un monarchico puro e duro. Ministro dell’Interno del primo governo della Sinistra, volle nel 1877 per i “banditi” del Matese un giudizio sommario, ad arbitrio di un “tribunale di guerra”. Costretto a dimettersi, fece una scissione contro Depretis, con Crispi e Zanardelli. Di nuovo ministro dell’Interno nel 1891, nel governo di Rudinì, si segnalò per reprimere le manifestazioni socialiste. La storia non si sa mai come si sviluppa.
Nicotera le aveva combattute tutte. Massone in carriera, era stato nella Giovane Italia di Mazzini, e aveva combattuto a Napoli il 15 maggio 1848. L’anno dopo era a Roma con  Mazzini. Ferito gravemente a Sapri, arrestato, condannato a morte, era stato poi mandato all’ergastolo. A Favignana, dove Garibaldi nel 1860 lo liberò. Organizzò nello stesso anno un’invasione dello Stato pontificio dalla Toscana, ma Cavour lo fermò. Fu nel 1862 con Garibaldi sull’Aspromonte. E nel 1866 comandò un reggimento di volontari contro l’Austria. L’anno dopo aveva tentato con Garibaldi l’invasione dello Stato pontificio, l’operazione che abortì a Mentana.

Savoia – Sono svaniti, letteralmente, dalla storia dell’Italia, dopo che per almeno un  secolo l’avevano dominata – fatta, in ogni senso della parola. Da padri della patria, che non erano. Con il racconto della “Prussia d’Italia” che certamente non erano, per ogni aspetto, se non erano l’opposto: in politica quasi oltremontani, in religione papalini, e senza praticamente alcuna tradizione “italiana” o nazionale, storica (Pietro Micca?), letteraria, culturale.
Un’altra veduta dei Savoia nella storia dell’Italia era peraltro disponibile al tempo dell’unificazione,  subito dopo. Di cui fa la sintesi Bakunin, nel saggio “Etatisme et anarchie”, 1873. Carlo Alberto nel 1821, da principe ereditario, “tradì i compagni con cui aveva cospirato per liberare l’Italia”. Nel 1848, da sovrano, fece di tutto per “paralizzare la rivoluzione in tutta Italia, per messo di promesse, macchinazioni, intrighi”. Vittorio Emanuele è falsamente “definito il liberatore e unificatore delle terre italiane” - il “liberatore” semmai è stato Luigi Napoleone, imperatore dei Francesi: “Ma di fatto l’Italia si è liberata da sola, fuori dal controllo di Vittorio Emanuele e contro la volontà di Napoleone III”. Quando Garibaldi partì da Quarto, Cavour “avvertì il governo napoletano del pericolo che lo minacciava”. Vittorio Emanuele si è preso poi “la Sicilia e tutto il regno di Napoli,  senza peraltro mostrare eccessiva gratitudine”. E che ne ha fatto? “Che cosa ha fatto in trent’anni il suo governo per questa infelice Italia? L’ha rovinata. L’ha semplicemente depredata, tanto che ora, odiato da tutti i suoi sudditi, il suo dispotismo fa quasi rimpiangere i defenestrati Borboni”.

Speculazione - Il 24 luglio 2012 lo spread Bot-Bund, in salita costante da otto mesi, arriva a 532 punti. Quel giorno, il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi comunica che la Bce farà “whatever it takes”, qualunque cosa, per salvare l’euro. Il “whatever it takes” fa invertire subito il corso allo spread. Un mese dopo è attorno ai 340 punti. Sei mesi dopo a 250. Come si fa a negare la speculazione? Eppure è la tesi prevalente, anche nella sinistra politica.
Si può anche dire la speculazione una difesa sulle incertezze. Ma in quel caso c’era un attacco all’euro nella convinzione che non avrebbe tenuto. Bersagliando il fortino sul lato Italia-debito pubblico e banche. Un attacco concentrato, e non un’azione difensiva. Avviato anche questo da Soros, cui altri hedge fund si sono allineati. In teoria come misura difensiva, di fatto come un “lavoro ai fianchi” - invece di un “diretto” decisivo, come nell’attacco alla lira e alla sterlina del 1992. La convinzione essendo alimentata non tanto da un rischio insolvenza dell’Italia, quanto dalla politica di austerità imposta dalla Germania. E dalla crescita, nello schieramento di governo in Germania, di una posizione anti-euro, mascherata da anti-Italia: nella Csu di Dobrindt, il segretario quarantenne molto spavaldo dei bavaresi, e in Deutsche Bank. Con l’appoggio del ministro delle Finanze (Economia) Schaüble e del presidente della Bundesbank Weidmann, che a settimane alterne lanciavano ipotesi, pubbliche, di ristrutturazione della moneta europa.

astolfo@antiit.eu

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