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mercoledì 1 agosto 2018

I poveri ricchi italiani

Di che stiamo parlando quando parliamo di crisi, del debito, e della povertà crscente? Di un paese in cui la metà, poco meno, dei contribuenti, il 45 per cento, versa appena il 2,8 per cento dell’Irpef. La povertà, si dice. Lo dice perfino l’Istat di Giovannini e Alleva, molto comprensivi: le famiglie povere sono cinque milioni. A tre per famiglia sono quindici milioni di persone, a quattro venti: un italiano su tre.
Mentre si sa che l’Italia è il secondo mercato europeo dell’auto, dopo la Germania, nei segmenti D, E e F, da 1.800 cc. in su. Che ha la più alta diffusione pro capite di “dispositivi mobili”, telefonini. Che spende ogni anno 96 miliardi in giochi d’azzardo, il 14 per cento del reddito disponibile. Con 30 milioni di patiti, un italiano su due. Più altri 14 miliardi per unghie, piercing, tatuaggi. Più altri 14 per droghe. E 8 per maghi e cartomanti, con 13 milioni di utenti, un italiano, quasi, su quattro.
Ciò che è chiaro è che gli assetti fiscali, dalla riforma Visentini in poi, 1974, sono all’origine del debito e dell’insolvenza - dello Stato e delle banche, sottoscrittrici quasi obbligate del debito. Ina una spirale apparentemente senza fine, ma non se si pone mente alla data e all’origine del disastro – il debito nasce nel 1974.

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