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lunedì 2 agosto 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (462)

Giuseppe Leuzzi

Nel grato ricordo del liceo a Sanremo, compagno di banco e di gruppo di Calvino, Scalfari annota (“Io, Italo Calvino e l’Italia ferita del ‘43”): “Eravamo una dozzina. Quasi tutti sanremesi. Un paio di Torino, io l’unico del Sud e infatti – prima che la banda si formasse e io entrassi a farne parte – venivo chiamato «Napoli»”. Scalfari nato a Civitavecchia, ginnasio al Mamiani, a Roma, di madre laziale, di una famiglia di armatori, e di padre figlio di un notabile calabrese, ma vissuto, per studi e lavoro, a Roma e altrove. Bastava il nonno, paterno.
 
L’ombra
Viene l’estate, giornate lunghe, sole caldo tre quarti del giorno, viene difficile spiegare ai coinquilini del piano di sopra che le finestre del vano scale sono meglio chiuse di giorno – di notte no, spalancate, ma di giorno chiuse, anche gli scuri. Lui che è torinese ci starebbe – il meridionale per lui è un altro mondo, e quindi lo incuriosisce. Lei no, è romana, non l’ha fatto da bambina, chiudere le finestre, non l’ha fatto da ragazza, non lo farà mai. Ma, del resto, è difficile anche in casa: a Firenze non c’è il culto dell’ombra, il cipresso sarà diffuso per questo, l’unico albero che non fa ombra, e quindi l’ombra non esiste – i meridionali si sa che fanno cose strane, e vanno compatiti, ma non più di questo: c’è l’ombra nei quadri degli Uffizi, in piazza della Signoria, a Boboli?
È difficile questa nozione semplice: che bisogna aprire al sole d’inverno e chiudere d’estate. Sembrerebbe ovvio, ma non è così. Ma non è questione di Nord e Sud, anche se nei casi specifici sì: certi mondi non hanno l’ombra. Si viaggi in Grecia, si troverà a ogni canto un po’ d’ombra per una sosta, una pausa, un riposo, al guado del ruscello ma anche al tornante in montagna, in piazza, spesso proprio il salice che ornava anche il Sud, ogni casa sperduta nella campagna, ed è stato dismesso col boom, cinquant’anni fa, albero altrimenti inutile - era, insieme col noce, segno che sotto c’era l’acqua, anche nel posto più secco, e quindi pianta di buon augurio, ma non ci sono più sorgenti, l’acqua arriva col tubo. Ovunque in  Grecia, anche nell’isola più petrosa, ci sarà sempre un po’ di ombra – una tettoia, un lenzuolo stesso se non c’è naturale. Si faccia invece la Grecia asiatica, quella che da un secolo giusto è Turchia, Efeso, Pergamo, Alicarnasso (Bodrum), non si troverà mai un’ombra, a nessuna ora del giorno. Sono scomparse anche le sorgenti, insieme con i greci di Turchia. E quindi l’albero frondoso che si accompagna alla fonte umida, e accompagna il viaggiatore, il salice, il platano, il frassino, l’olmo, il carrubo, il biancospino, anche, in difetto, un eucalipto. Ma non ci sono nemmeno i parchi pubblici. E l’edilizia, privata e pubblica, l’urbanistica, i piani regolatori, i piani paesaggistici, sono evidentemente fatti per escludere l’ombra. Non c’è il culto degli alberi, e pazienza: i culti dendrici erano greci, e la Grecia va cancellata, non da ora, anche da prima del presidente Erdogan. Ma anche le strade, le piazze, i palazzi, sembrano cosruiti in maniera da non aggettare mai ombra, a nessuna ora del giorno, in nessuna direzione. Che sembra impossibile ma così è. L’ombra fa ombra, si direbbe in una freddura.
 
Franco
È morto Franco Papitto, un amico di vent’anni, non più sentito da vent’anni. Da quando, mortificato, lamentava problemi alla testa, lascito della commozione cerebrale di cui era stato vittima, investito a Bruxelles mentre camminava sulle strisce. Le nostre erano, dopo il cazzeggio d’obbligo fra calabresi, conversazioni minute sull’Europa di Bruxelles, forse ora impegnative. Ero stato per dieci anni o quasi il suo interlocutore quotidiano a “la Repubblica”.
Assunto da Mario Pirani malgrado il suo passato turbolento in gioventù tra i gruppuscoli, di destra e di destra estrema, come corrispondente da Bruxelles – Pirani era l’unico europeista a “la Repubblica” in quegli anni e assolutamente volle che, pur nel bilancio contenuto allora del quotidiano, Bruxelles fosse sempre “in pagina” – Franco fu a lungo in rapporti freddi col servizio Esteri, ottimi giornalisti evidentemente ma tutti ex di “Paese Sera” (anche questo sembrerà strano, ma il Pci è arrivato tardi a Bruxelles). Scriveva quindi quasi sempre per una pagina di Economia Internazionale che curavo. Gradiva anche poter discutere gli argomenti di Bruxelles, di cui era miglior conoscitore (in concorrenza ogni giorno con Arturo Guatelli, ma presto senza, Guatelli si fece senatore Dc nel 1979), con qualcuno che potesse pesarli. Sempre generoso del resto, di tutto, consigli (anche culinari) e dritte. Si potrebbe portare a esempio, anche se non gli sarebbe piaciuto, di come l’Europa, l’idea d’Europa e la stessa quotidianeità di Bruxelles,  possa fare bene agli Europei.   
   
Il Gotha
Si condannano a Reggio Calabria un Paolo Romeo, avvocato, a venticinque anni di carcere, e numerosi altri a pene minori, per avere fatto di Reggio Calabria “un laboratorio criminale a cui tutta la ‘ndrangheta del mondo”, che notoriamente domina il mondo, fra tutte le organizzazioni mafiose, “è chiamata ad ispirarsi”. E per aver concepito, con un altro avvocato, Giorgio De Stefano, non della famiglia mafiosa omonima?, già condannato in rito abbreviato, una “divinità criminale a due teste”, per controllare la politica, l’economia, la società, “e perfino l’associazionismo”, scrive Candito, la corrispondente reggina di “la Repubblica”. Una “cupola”, scrive sempre Candito riassumendo la sentenza, “in grado di mettere in atto un piano eversivo dell’ordine democratico e colonizzare le istituzioni”. Perbacco. E un piano così va solo in  poche righe, nella pagina giudiziaria?
Dispiace per don Pino Strangio, il parroco di San Luca, l’unico conoscente tra i condannati. Ma questo Romeo, che deve avere sui settant’anni, non  è nelle cronache da almeno mezzo secolo, già condannato per “associazione di stampo mafioso” e per “concorso esterno”, poi imputato in un processo su quattro, o su tre, attentati a Reggio, fascista facinoroso, legato a Freda, quello delle bombe di piazza Fontana, che lo disse anche massone in uno dei suoi tanti processi, del quale si è vantato di avere favorito la latitanza (“addirittura passeggiavamo su corso Garibaldi”, la via centrale di Reggio, “un giorno gli presentai il capo della Digos locale”), tra i difensori di Junio Valerio Borghese, il comandante della Decima Mas quando fu accusato di golpe, nel 1970, poi “pacciardiano”, quando l’ex ministro repubblicano Pacciardi si proponeva, quale comandante in petto dell’organizzazione Gladio, garante dell’ordine repubblicano, per un paio d’anni deputato socialdemocratico, con approcci abortiti a Pannella? Un fregoli. “Era il Dio della ‘ndrangheta e della politica” lo dice il neo pentito Sebastiano Vecchio, “Seby”, altro avvocato, con un’esperienza in Polizia, per conto dei mafiosi, assessore comunale a Reggio per Forza Italia, in disgrazia da quando è stato eliminato il clan milanese-iberico dei Serraìno, coi ricchissimi proventi della droga, ora attivista Pd? Ma non è una cosa seria?
L’inchiesta che ha portato Romeo alla condanna s’intitola Gotha. Il gotha degli avvocati.  
 
Meridionali sul Viso e sul Bianco
“Quintino Sella scalò il Viso con un collega (politico) calabrese, poi fondò il Cai”, Paolo Rumiz, “È Oriente”,190. Il rifugio a suo nome sul Monviso, a 2.640 m., lo ricorda. Nell’agosto 1963 a Torino il caldo era  insopportabile, e Quintino Sella decide con Giovanni Barracco di salire sul Monviso. Sella ha solo 36 anni, ma è solidamente barbuto, e già ministro delle Finanze nel governo postunitario di Rattazzi, il “servo di casa Savoia” (Spadolini). Il Viso è il monte dei piemontesi – si chiama così, abbreviato, familiarmente a Saluzzo. Ma era stato “violato” (scalato) due anni prima da due inglesi, Jacobs e Mathews, nemmeno scalatori di professione – ma poi anche, nello stesso anno 1861 dai francesi Jean-Baptiste e Michel Croz di Chamonix, e ancora, l’anno dopo, da un altro inglese, Francis Fox Tuckett, questi Grande Esploratore, che costituì per l’impresa una spedizione.
Giovanni Barracco, che di anni ne ha 34, non era esperto di montagna. Ma non si sottrasse. E con non grande difficoltà fu il 12 agosto con Sella in cima al Viso. Il barone Barracco, di Isola Capo Rizzuto, “il più ricco proprietario di tutta Italia” (François Lenormant, l’assiriologo che viaggiò anche in Magna Grecia) – erediterà anche per parte della madre, una Falcone Lucifero - aveva 34 anni. Era stato consigliere comunale nella Napoli di Garibaldi, e nel 1861 deputato al primo Parlamento italiano. Fu un parlamentare molto attivo, dal 1886 senatore del Regno, in chiave di protezione e sviluppo del territorio, si direbbe oggi – per questo (ma non si sa) avrebbe rifiutato nel 1869 la proposta di Giovanni Lanza di fargli da ministro degli Esteri. Fu all’origine del tributo Pro Calabria. Ma soprattutto fu un collezionista, di arte antica, per uno sviluppato interesse archeologico. Le collezioni poi ordinò in casa, nei vasti saloni in via del Corso - oggi Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco.
Quintino Sella in realtà non era nuovo all’alpinismo. Fu anche il primo italiano a scalare il Monte Rosa. Fu sua l’idea di imitare gli inglesi con il Club Alpino Italiano. A lui wikipedia ascrive anche la prima scalata italiana al Monte Bianco. No, il primo italiano sul Bianco fu il marchese Imperiale di Napoli, mazziniano fervente, il 29 agosto 1840 – sarà per questo, anche per questo, senatore del Regno sabaudo.
 
Milano
Non passa giorno da quando c’è il virus, un anno e mezzo, senza il supplizio di Burioni, il virologo di Milano. Che palesemente si diverte a spese nostre, ma ogni giorno ce n’ha una e non ce la risparmiano. Se Burioni fosse stato virologo a Napoli? Se fosse stato un normale, che non s’inventa la cazzata?
Ciò non vuole dire che a Milano contano le cazzate, al contrario. Milano se le inventa per impapocchiare il prossimo. Ci guadagnerà.
 
“Gli animi dei lombardi”, annota il cardinale Federigo Borromeo nel suo diario “La peste di Milano, “sono coraggiosi e ardenti e ne danno testimonianza  i ricordi del passato e le guerre combattute per tanti anni. D’altra parte sono anche orgogliosi e superbi nei confronti dei poteri, insofferenti delle offese e vivono molto a fatica lontano dalla loro città”.
 
Per la carestia, che precedette la peste del 1630, molti si dovettero ricoverare in città, nota il cardinale, “avviliti”: “S’erano nutriti di cortecce d’alberi, e una porzione di crusca era per loro cibo squisitissimo”. Succederà un secolo fa per gli abitanti di Africo senza più casa, per alluvione o terremoto, secondo la testimonianza di Corrado Alvaro nella conferenza sulla Calabria che tenne al Lyceum di Firenze nel 1929, che furono rinvenuti nelle campagne emiliane nutriti di paglia e fieno.
 
Il cardinale Borromeo s’interroga a un certo punto sulla “propensione a fare affari di questo popolo”, i milanesi. Che, pur “non avendo né un mare vicino né un fiume navigabile”, li accrescono in continuazione. E da soli, “tutti originari del posto, non certo immigrati e stranieri o chiamati da fuori quale è più o meno la moltitudine che affolla le città italiane”. Il leghismo ha radici, il “crogiolo” è per stare ala moda.
 
Il segreto dei lombardi, insiste il cardinale? La costanza: “Insistono nelle imprese con costanza e con una certa ostinazione fino alla conclusione e tutto quanto hanno cominciato lo conducono a fine”. Questo, osserva, richiama “abbastanza i caratteri dei tedeschi, dei quali è nota la perseveranza nei lavori iniziati”.
 
Non esclusa la oneupmanship, continua il cardinale: “Qualunque cosa vedano eseguita, la imitano  sia facilmente sia avidamente”: E “non vogliono essere superati e vinti da altri in nessuna attività”.
 
Fu terribile con gli “untori”, anche più di quanto aveva saputo Manzoni, non aliena ai linciaggi. In appendice a “La peste di Milano” del cardinale Borromeo, Armando Torno pubblica alcune lettere del “residente” di Venezia a Milano. In una si legge: “Doi huomini che andavano per Milano feriti dalla peste, senza palesarla, sono stati hieri decapitati ad esempio di altri; stava la sentenza che fossero archibugiati vivi, ma per grazia hanno ottenuto di morire come predetto”.   

leuzzi@antiit.eu

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