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venerdì 6 agosto 2021

La solitudine, nell'impero di Stalin

La seconda stagione della poesia di Mandel’stam. Dopo quella classicheggiante dell’acmeismo. Nell’isolamento, cui Mandel’štam si costrinse dileggiando Stalin, nel 1933 – un isolamento che si concluderà targicamente, nel confino a Voronež, alla frontiera con l’Ucraina, alla confluenza del fiume omonimo col Don, in qualche tentato suicidio, e una fine oscura (che resta oscura dopo molte ricerche). Appena uscito da un decennale divito di pubblicazione per troppo tiepido sovietismo – con in più una rognosa accusa di plagio nella traduzione del “Till Eulenspiegel”.
Un personaggio e un poeta molto classico e molto eversivo. Ebreo di nascita e di cultura, aveva cominciato col proposito di scavalcare il “caos giudaico”, il “puzzo di bruciato del non essere veterotestamentario”,  per riallacciarsi alla Grecia, a Roma, alla civiltà governata dalla logica. A Roma, la civiltà latina: “La natura è Roma, Roma rispecchia la natura.\ Vediamo immagini del suo potere civile\ nell’aria trasparente come in un circo azzurro”. E, con l’acmeismo, a Dante, Villon, Shakespeare – Dante soprattutto, e Tasso e Ariosto. Amante delle liste – alla Eco, “La vertigine della lista” (che però non ne tiene conto): il catalogo delle navi di Omero. Ma molto agì l’educazione cosmopolita e poliglotta ricevuta: nato a Varsavia, cresciuto a San Pietroburgo, a 16 anni fu a Parigi,  viaggiò anche in Italia e in Germania, a 19 studiò a Heidelberg.
Una poesia, questa tarda, di solitudini, e di luoghi, la passione politica e la società restando ora estranee, prima ancora che proibite. Le impressioni d’Armenia, Leningrado,Mosca. Con il linguaggio “scientifico”, preciso e scattante, della sua migliore saggistica - il “linguaggio della luce e dell’aria”, degli elementi. Da “disegnatore del deserto,\ geometra delle sabbie mobili”. La vita di relazione essendo impossibilitata: muri di carta, spie, l’inaccessibile vicino. Di un solitudine estrema, ma visionaria: “Il tuo repertorio, infinità,\  leggo da solo, non con gli uomini -\ il selvatico, spoglio prontuario,\ le tavole delle massime radici”.
Molti componimenti si suppone dal confino di Voronež. Tra “ancora giovani colline” che lo riportano alla “chiara nostalgia\ del tutto umano chiarore di Toscana”. Compreso il testo fatidico contro “il montanaro del Cremlino”, “baffetti da scarafaggio”, “osseta dalle spalle larghe”, che portò alla condanna inevitabile. 
Curati e introdotti da Pina Napolitano e Raissa Raskina, i cosiddetti quaderni, a lungo “poesie disperse”, tenute insieme e in vita dalla moglie Nadežda, vengono con l’originale. Con una profusa introduzione e un corposo apparato di note. La prima traduzione integrale del cosiddetto “Codice vaticano”, le poesie che Mandel’stam poscritto scrisse tra il viaggio in Armenia per cui è famoso, nel 1930, e il confino politico a Voronez, cominciato nel 1934 e durato fino alla morte, per aver criticato scopertamente Stalin, anche in un epigramma.

Osip Mandel’štam, Quaderni di Mosca, Einaudi, pp. 347 € 16,50

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