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sabato 9 aprile 2022

Secondi pensieri - 479

zeulig


Complotto – Quello ebraico è in Nietzsche, prima che nei “Protocolli di Sion”. In un abbozzo di lettera a Brandes, che viene fatto risalire ai primi di dicembre del 1888, quindi un mese prima del deragliamento, annuncia un’edizione “manoscritta”, cioè “segreta”, de “L’Anticristo”, “a scopo di agitazione”. E, aggiunge, “dato che si tratta di un colpo mirante all’annientamento del cristianesimo, è evidente che l’unica potenza internazionale che abbia un interesse istintivo a tale annientamento sono gli ebrei – in loro vi è una ostilità istintiva, non qualcosa di fittizio» come in qualsiasi «libero pensatore» o nei socialisti – non me ne faccio un accidenti dei liberi pensatori. Di conseguenza dobbiamo assicurarci tutte le principali autorità di questa razza in Europa e in America – oltretutto un tale movimento ha bisogno del grande capitale. È questo l’unico terreno naturalmente predisposto per la più grande e decisiva guerra della storia”.
In un biglietto successivamente indirizzato a Köselitz (il compositore “Peter Gast”) spiega che “senza ebrei non c’è immortalità - non a caso sono «eterni»”.

Guerra – È polemos, spirito combattivo, ma mosso dalla hubris, la forza incontrollata, la violenza – che meglio riflette il nome moderno, “guerra”, “war”, antico germanico per violenza appunto senza limiti. Si fanno piani di guerra elaborati, si prendono decisioni con lunghi dibattiti, ma in azione, sul campo, è la vita tua o la mia. In un furore “naturalmente” (questione di nervi, acidi, umori, sinapsi) crescente, e sempre meno controllabile. Il virgiliano “nulla salus in bello” non dissuade, non nell’azione - è considerazione previa, a mente ancora fredda.  
È “la forza, non dell’“Iliade” in particolare, ma a partire dall’“Iliade”, la prima guerra descritta, o raccontata. È hubris. Forza incontrollata e incontrollabile se non con una forza contraria. Che nella mitologia viene punita con severità da parte degli dei, ma non per questo si addomestica.

Attinge a un fondo di violenza? A un istinto? Che si può anche pensare di difesa nel mentre che è di attacco, e anche di sorpresa, cioè volutamente cattivo, perfino vigliacco.
Gli dei resto la punivano un tempo, oggi siamo più sgamati – sappiamo che la storia la fa il vincitore.


Non ci possono essere leggi internazionali pubbliche per misurare il grado di violenza accettabile – distinguere gli atti di guerra dai crimini di guerra. Se non nelle forme del diritto penale – che poi sono una: la legittima difesa. Per questo gli Stati Uniti hanno a lungo resistito alla creazione di un tribunale penale internazionale, la Corte penale internazionale dell’Onu all’Aja creata su iniziativa della conferenza di Roma del 1996, con lo statuto  allora deliberato. Che poi hanno variamente boicottato - tagliando i fondi, e ogni forma di collaborazione, imponendo sanzioni - e ora funziona, o non funziona, in dipendenza dalle decisioni americane. Cioè non come vero tribunale internazionale, in riferimento a un diritto internazionale codificato. Se non nell’applicazione, nell’attribuzione di competenza su tutta la terra.    


La Corte internazionale di giustizia, sempre dell’Onu, o Tribunale Internazionale dell’Aja, si limita a deliberare pareri arbitrali, tra parti che vi abbiamo entrambe ricorso, su questioni di diritto internazionale o su problemi di accordi o negoziati bilaterali. 

Nostalgia – Il “dolore del ritorno” dell’etimologia - il ritorno dopo la lontananza, l’esilio, l’ostracismo, l’emigrazione, la fuga, l’avventura, la fuga, compendiato come arduo, difficile, doloroso appunto - si è trasformato nel suo opposto, il desiderio di un ritorno. O non è il “dolore” in questo desiderio? Il desiderio del ritorno, alle radici, alla casa madre, al paese, come pronubo di dolori – problemi difficoltà, incomprensioni, delusioni.


Razze – Gobineau andrebbe riletto, come excursus storico e non prescrittivo o valutativo. Le differenze esistono. Tra gli africani, vittime a loro volta del razzismo persecutorio, le differenze – etniche e anche tribali – sono determinanti. 
 
Si dimentica che il sottotitolo di Darwin, “L’origine della specie per mezzo della selezione naturale”, è: “O la preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita”. “Razze favorite” richiama il razzismo.
 
Tradizione – È la radice. Antica, consolidata, ma anche recente, purché abbia attecchito. Anche nella forma della falsa tradizione, purché sia sentita propria – sia un innesto riuscito, “quando le due parti, marza e portainnesto, si saldano in modo duraturo con la formazione di tessuto cicatriziale”, come dice la botanica. Per esempio quella di Walter Scott, dei clan e i quilt scozzesi. E in tutte le forme dell’“invenzione della tradizione” di Hobsbawm – compreso l’inglesissimo cricket per l’ex Commonwealth asiatico.
È un corroborante. Ma inevitabilmente, per la continuità se non per la linfa che lo anima, un forte coadiuvante del seno di comunità, di appartenenza. Perfino nel contrasto e nell’allontanamento, perfino il più radicale, istituzionale, politico, storico, etnico, religioso – il Sud-Est asiatico dall’Inghilterra, dove poi si ritroverà a suo agio, e viceversa.      
 
Si può interpretare, cioè aggiornare, alla luce dei tempi. Ma non rifiutare, pena l’indebolimento. In campo religioso, dove con più asprezza è venuta in contestazione, la sola scriptura protestante ha indebolito e non rinvigorito il ceppo – gli studi, i sentimenti, il legame comunitario - a fronte della tradizione difesa dalla chiesa di Roma. Cha da ultimo (Concilio Vaticano II) ne riafferma il bisogno nel mentre che, per aprire un varco verso l’unione delle chiese, rifiuta la vecchia “duplice fonte della Rivelazione”, Scrittura e Tradizione. Il rifiuto è esso stesso un “aggiornamento”: la Scrittura non si interpreta d a sola ma con l’aiuto della Tradizione.     

zeulig@antiit.eu

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