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sabato 28 maggio 2011

Il mondo com'è - 64

astolfo

Autenticità – È il valore dell’epoca. Molto tedesco ultimamente – sebbene, come tutto, di rimbalzo dalla Francia. Contro l’imperialismo naturalmente, ma anche contro la globalizzazione (la tecnologia, il progresso, lo sviluppo). Fino a farsi intronare honorable chief da quattro liberiani arricchiti e beffardi, di cui il sofisticato Jünger pure si vanta negli “Entretiens” con Julien Hervier (p. 67). Ci sono insomma dei limiti.
Sarà vero che la storia è ciclica e circolare, ma prima della “civiltà”, sia pure imposta con mano dura, e a fini di sfruttamento coloniale, a titolo gratuito, c’erano schiavismo, sfruttamento e sporcizia - inquinamento, dell’acqua, del suolo, perfino dell’aria con gli incendi, e virus e bacilli di ogni sorta e formato, imbattibili. Su questi presupposti, senza progresso (storia) non ci sarebbe nemmeno autenticità.

Mitteleuropa – Emerge ai lavori dell’Assemblea Nazionale Tedesca di Francoforte del 1848, ancora nell’ambito della Confederazione germanica, che era succeduta al sacro-romano impero, dopo la dissoluzione provocata da Napoleone, per riunire 39 stati, tra i quali l’Austria-Ungheria e la Prussia. L’Assemblea, preceduta da un Pre-Parlamento a marzo, che l’aveva convocata, s’inaugurò il 18 maggio. Non avrà un ruolo decisivo, poiché Austria e Prussia non la tenevano in considerazione. Ma elaborerà un progetto di costituzione molto moderno e sempre valido, sepure di tipo liberale. Era un’assemblea d’élite, di scrittori, aristocratici, professori, magistrati, avvocati, sindaci, alti funzionari, imprenditori – dei quasi seicento delegate solo sedici erano di umili origini, artigiani, impiegati, e di essi solo uno di origini contadine, un polacco.
Il tema nazionale fu propedeutico al dibattito politico, e in quello l’estensione della futura Confederazione democratica. Tra i fautori della Grande Germania, comprendente cioè tutta la Germania e tutto l’impero asburgico, e quelli della Piccola Germania, grosso modo la Gerrmania e l’Austria. Della Grande Germania erano paladini accesi i tedeschi dei territori non tedeschi dell’impero. Per una soluzione che, con slittamento non insignificante, passò da gorssdeutsch, pantedesca, a mitteleuropäisch. Ma il sentimento era in realtà unico: anche i fautori della Piccola Germania le assegnavano il compito di preservare e diffondere la lingua e la cultura tedesche lungo il Danubio fino al Mar Nero.
Lo storico Jörg Brechtefeld, Mitteleuropa and German politics.1848 to the present (1996), la rappresenta come un enorme triangolo a partire dallo Spitsbergen, con base dalle Alpi al Mar Nero. Nel quale sarebbero da comprendere, secondo lo Ständiger Ausschuss für geographische Namen, il Comitato permanente sui nomi geografici, un organismo accademico, l’Austria, la Croazia, la Repubblica Ceca, la Germania, l’Ungheria, il Liechtenstein, la Polonia, la Slovacchia, la Slovenia, la Svizzera e i paesi Baltici. Con proiezione culturale, cioè storica e linguistica, nel Trentino-Alto Adige, nell’ex Litorale Austriaco (friulano e giuliano), in Alsazia e nella Lorena del Nord (mosella), nell’enclave russa di Kaliningrad, la città bene o male di Kant, in Bielorussia a Est di Vilna, nella Voivodina al centro della Serbia, nei Siebenbürgen (Transilvania) e la Bucovina meridionale in Romania, e in Ucraina nelle Galizia orientale e nella Bucovina settentrionale.
L’ipotesi mitteleuropea fu fatta fallire a Francoforte paradossalmente dall’Austria – che poi ne farà il perno della sua vocazione culturale, se non politica. A Vienna l’imperatore e il suo governo collegarono la Grande Germania alla sovversione. E quando a ottobre del 1848 ne vennero a capo anche a Vienna, dopo Praga a giugno, e Custoza a luglio, per prima cosa condannarono a morte due membri del Parlamento di Francoforte, Robert Blum e Julius Fröbel. Per significare, disse il principe Felix von Schwarzenberg, capo del governo da poche ore, che “i loro privilegi parlamentari in Austria non hanno valore legale”. Dopo qualche mese Schwarzenberg propose ironicamente una Grande Austria.
Si ritorna a parlarne con l’Unione Europea, che nella sua ultima fase, dell’allargamento a Est, vede la Germania ostensibilmente mirata al Centro-Est-Europa, e a nessun altro problema – Mediterraneo, Islam, immigrazione extracomunitaria, solidarietà europea.

G 8 – Il multilateralismo, o multipolarismo, ipotizzato da Kissinger nei suoi studi di politica estera, e dallo stesso proposto nel 1973, in qualità di segretario di Stato, come cardine della politica occidentale, con l’istituzionalizzazione dei vertici periodici a cinque, poi a sette, si è svuotato dopo il 1989 e la caduta dell’Unione Sovietica. Formalmente sempre in vigore e anzi allargato, ma per questo stesso fatto svuotato: il G7 diventato G8, e per molti aspetti G 20, o G qualcosa, è il primo indicatore della irrilevanza di simili riunioni periodiche.
Le decisioni di questi vertici sono sempre burocratiche. Come le agende su cui le diplomazie preparano i vertici stessi. Normalmente queste burocrazie danno nomi prestigiosi alle loro fatiche, il più frequente è il “piano Marshall”, e le dotano di cifre mirabolanti, che fanno interinare poi dai capi di Stato e di governo, ma senza alcun seguito pratico.
La discussione inutile a Parigi questa settimana su Internet, vent’anni dopo i fatti, è il frutto di una preparazione dell’agenda tanto estesa quanto infruttuosa e inutile - burocratica. La guerra alla Libia è stata già decisa e fatta, e di questo il vertice si occupa, per dire che è giusta. Della Siria invece non si è parlato, né della democrazia reale nei paesi arabi nei quali c’è stata la”primavera democratica”, in primo luogo l’Egitto.

Rinascimento – È sempre quello di Burckhardt, “La civiltà del Rinascimento in Italia”, del 1860. In questo secolo e mezzo nessun’altra rilettura l’ha soppiantato. Compresi gli errori, che sono forse falsi: la cesura fra il Medio Evo e il Rinascimento, e una concezione laica del mondo, quasi atea, sotto le specie del naturalismo se non del panteismo. La tesi opposta, della continuità, introdotta in polemica con Burckahrdt da Konrad Burdach, col sostegno in Italia di Delio Cantimori in polemica con Gentile, ripresa dalle Annales, e divulgata da Étienne Gilson, non ha avuto la stessa forza argomentativa di Burckhardt.
Burdach lega anche la Riforma luterana, col Rinascimento, al Medio Evo. Per il comune uso dei classici, e per “quel mistico concetto del «rinascere», del venir ricreati, che ritroviamo nella antica liturgia pagana, e nella liturgia sacramentale cristiana…. La mistica immagine della Rinascita e della Riforma aveva vissuto, sotto entrambi i suoi aspetti, attraverso tutto il Medioevo” (intr. a “Dal Medioevo alla Riforma”). Nella celebrazione e nell’immedesimazione con Roma: “Le idee imperialistico-millenaristiche vivono attraverso tutto il Medioevo”, sullo sfondo dell’“incancellabile ricordo della grandezza soprannaturale di Roma, della sua potenza universale e della sua civiltà, che a sua volta era solo l’erede del dominio mondiale e della civiltà universale ellenistica ed orientale”. Con il quale “si ravviva di nuovo la brama di ricreare per conto proprio il perduto splendore di questo mondo sommerso, di fondare una nova Roma”. Con richiami, nel trapasso dal Medio Evo al Rinascimento convenzionale, a “Gioacchino, Francesco, Domenico”. Burdach dice perfino il Rinascimento “un’invenzione religiosa” italiana.
Eugenio Garin, partito da Burkhardt e dalla discontinuità, ha poi rivisto nella numerosa serie di saggi intitolati all’Umanesimo e al Rinascimento il primo giudizio.

astolfo@antiit.eu

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