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sabato 28 maggio 2011

La transizione rallentata di Putin

La Russia è un paese in transizione, è la tesi del libro di Gudkov e Zaslavsky, e questo si riverbera sul loro stesso libro, una riedizione della prima edizione preparata sei anni fa per la Luiss, l’università romana (col titolo “La Russia post-comunista”): Medvedev non è Putin, e la sua presidenza ha fatto fare alla Russia qualche passo in direzione dello Stato di diritto e della modernizzazione – o occidentalizzazione. Sono questi due dei tre punti deboli che Gudkov e Zaslavsky lamentano. E tuttavia l’impianto di fondo del loro studio di resta vero: non soltanto Putin, la Russia resta ancora molto poco desovietizzata. L’altro punto debole ne fa una società e un’economia ferme più che in transizione, per la mancata liberalizzazione dell’economia e il mancato impianto di un processo auto sostenuto di sviluppo della stessa economia. La Russia continua a prosperare perché continua il boom delle materie prime, soprattutto delle materie prime minerarie, di cui essa è grande produttrice e esportatrice. Ma con un impianto sociale, normativo e produttivo obsoleto e inefficiente. In una col gruppo dirigente, che Putin ha ricostituito attorno a due dei tre vecchi pilastri del potere politico, le forze armate e i servizi segreti – il terzo era il Partito onnipotente. Medvedev è peraltro in concorrenza con Putin anche nei vecchi fondi di potere. È suo i piano di riarmo di metà marzo. Per un utilizzo della capacità militare anche in funzione di polizia (lesercito deve riorganizzarsi per poter combattere “tre guerre locali o regionali simultaneamente”). Oltre che negli equilibri mondiali, anche se ora con un occhio alla Cina. Un piano decennale da 700 miliardi di dollari, il doppio della spesa degli anni zero. 
Levi Gudkov-Victor Zaslawsky, La Russia da Gorbaciov a Putin, Il Mulino, pp. 208, € 15

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