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domenica 22 maggio 2011

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (90)

Giuseppe Leuzzi 

Mafia 
“Mafia Movies”, c’è ora una storia dei film di mafia. Opera di Dana Renga, italianista canadese studiosa di Italo Calvino. Un’opera costosissima, sui cento euro, destinata quindi alle biblioteche. È un’opera di filologia: Dana Renga compara le diverse rappresentazioni della mafia, nella storia del cinema, o fra cineasti italiani e cineasti americani, e fra questi nelle diverse maniere, alla “Padrino” di Coppola” o alla Scorsese nei suoi tanti film di mafia. Ma attesta che i film di mafia sono stati sempre popolari, di cassetta. Fin dall’inizio del cinema. “In Procura a Sciacca, da metà ottobre al 5 novembre 1991, tutti i giorni una telefonata di Rita che vuole denunciare la mafia”, raccontano Lucrezia e Giorgio Dell’Arti nella loro rubrica documentaria su “Io Donna” di Rita Adria, la diciassettenne cui la mafia aveva assassinato il padre e il fratello, e che due anni dopo si suiciderà a Roma, travolta dall’assassinio di Paolo Borsellino, col quale era riuscita a stabilire un contatto. La mafia può aspettare. Non si pente chi vuole. “Un po’ perché prese dal lavoro”, così spiega il prosieguo Alessandra Camassa, “uno dei primi magistrati a raccogliere la testimonianza di Rita”, nella rubrica dei Dell’Arti, “un po’ per la giovane età di Rita, trascurammo di convocarla per qualche giorno. Piera Aiello (moglie del fratello di Rita assassinato, n.d.r.), nei mesi precedenti, ci aveva spiegato che sua cognata non era affatto una ragazzina, ma una donna forte e matura, nonostante i suoi diciassette anni. Tuttavia noi esitavamo. Però Rita insisteva, telefonava, sembrava offesa dalla nostra indifferenza. Così a un certo punto decidemmo di sentirla”. Nei mesi precedenti: quindi le insistenze di Rita erano durate più di tre settimane. 

Milano 
Scappa da Malpensa, dopo l’Alitalia, anche Lufthansa: una voragine in tre anni in uno scalo insostenibile. Ma non ci sono commenti su questo. Anzi, non c’è nemmeno la notizia. Malpensa è lo scandalo più grande di tutte le infrastrutture pubbliche, della prima e, più, della seconda Repubblica. 

Si può proporre di spostare due ministeri da Roma a Milano per riconquistare il voto nella capitale lombarda? Evidentemente sì, a opera di un governo tutto milanese, il Berlusconi-Bossi. Immaginarsi se un governo avesse proposto di portare dei ministeri a Napoli, o a Palermo. Per vincere il ballottaggio.

Michelangelo ha firmato la Pietà vaticana. È l’unica opera sua firmata. Lo fece di notte a lume di candela (lungo la cintura trasversale che tiene la veste). Dovette farlo perché “un artista lombardo” aveva diffuso la voce che fosse opera sua, con tale arte che la credenza popolare aveva preso ad attribuirgliela. L’artista lombardo era lo scultore Cristoforo Solari, detto il Gobbo. Di famiglia svizzera, originaria di Carona nel Canton Ticino, ma era nato a Milano nel 1468.

“È come la liberazione dal fascismo nel ‘45”: Piero Bassetti commenta esilarato il successo di Pisapia alle comunali. Il simpatico deputato ex Dc ne è certo: “In Italia tutto nasce e muore qui, a Milano: era successo con Mussolini, ora succede con Berlusconi”. Ma sembra ne sia fiero - è successo anche col terrorismo, con la corruzione, col giustizialismo, etc, è vero che Milano offre il meglio del peggio.

Per tutto l’anno i milanisti a San Siro intonano un coro razzista contro Eto’o. Ma né la società né la curva soo state sanzionate. Questo si fa solo negli altri stadi, soprattutto a Torino. Senza vergogna.

Massimo Moratti sponsorizzava alla vigilia delle amministrative il candidato di sinistra Pisapia: “Penso che il centrosinistra abbia fatto una buona scelta. Appartiene a una famiglia che fa parate della buona borghesia milanese”. La buona coscienza è unitaria, passa anche sul destra-sinistra – sulla coerenza, la verità, l’onestà.

Gli ingegnosi pratici sistemi di comunicazione escogitati dai milanesi nelle Cinque Giornate di cui in Cattaneo, “Dell’insurrezione di Milano”: “Una specie di posta, adoperandovi principalmente li allievi d’un collegio di orfani”, per sapere cosa succedeva in città e passare ordini, e per sapere cosa succedeva fuori dei bastioni, che gli austriaci tenevano, “il Consiglio di guerra invitò li astronomi e li ottici a collocarsi su li osservatorii e i campanili” e a mandare “d’ora in ora brevi note”, attaccate “a un anello che si faceva scorrere lungo un filoferro”. Si fecero pure “cannoni di legno cerchiati di ferro, tanto che reggessero a un certo numero di colpi” prima di disintegrarsi, giusto per impaurire il nemico. 

La Scillitana
Il pianista, musicologo e maggior liederista italiano Erik Battaglia ricorda (“La musica di Hugo Wolff”) che molti musicisti tedeschi si ricostituivano in Italia (altri in Spagna): “Sole, cibo e colori giovavano al loro tono muscolare ma soprattutto al tono di base della loro musica, in una trasfusione efficace per i ritmi cardiaci e i ritmi musicali, tra contorni melodici più rustici, vocali lunghe e ferri corti”. Di Brahms in particolare, “che sapeva vivere, non disdegnava i vini italiani e le passeggiate a Taormina”, Battaglia ricorda che musicò “un canto calabrese, “La Scillitana”, su una traduzione di August Kopisch, lo scrittore e discreto pittore, noto per aver avere “scoperto” la Grotta Azzurra a Capri, traduttore di Dante in tedesco. Brahms,1833-1897, non ha fatto in tempo a vergognarsi del Sud. Ma non c’è un’esecuzione italiana del Lied. È stato inciso da Esther Ofarim, nel 1972, in un originale italiano arrangiato, in un disco di cui si può scaricare la suoneria per il cellulare ma non più in circolazione. E figura nel repertorio di Paola Tedde, cantante tedesca di Lieder, che non incide. Questo il testo più attendibile: “Vitti na tigra dinta na silva scura, na silva scura! E cu lu chiantu miu mansueta fari! “Vitti cu l’acqua na marmura dura, marmura dura, Calannu a guccia a guccia, arrimudari! “E vui che siti bedda criatura, criatura, Vi ni riditi di stu chiantu amari!” 
“La Scillitana” del resto non esiste in Italia, nelle raccolte italiane di canti popolari - come “La Siracusana” e altri canti che Kopisch tradusse. C’è in una raccolta vecchia di oltre un secolo, a New York, del folklorista Edoardo Marzo, “Songs of Italy; sixty-five Tuscan, Florentine, Lombardian and other Italian folk and popular songs”, 1904. Alberto Maria Cirese curò nel 1966 una riedizione della raccolta di Kopisch, “Agrumi” (come dal titolo originale), dei soli testi originali italiani, nel n. 8 della serie Strumenti di Lavoro/Archivi del Mondo Popolare delle Edizioni del Gallo – animate da Roberto Leydi, socialiste (il canto popolare è morto col socialismo?). Ma chi cura il repertorio online dello studioso la trascura e il fascicolo è difficile da trovare anche in biblioteca.
È vero che anche in questo campo il Sud è curato soprattutto oltralpe. Prima della raccolta di Kopisch (1838) si erano segnalate, sempre in Germania, quelle di Salomon Bartholdy e di Wilhelm Müller, personaggi non altrimenti noti – la raccolta di Müller fu completata alla sua morte, e pubblicata a Lipsia nel 1829, da Oskar Ludwig Bernhard Wolff, sotto il titolo “Egeria” – una raccolta a cui Kopisch espressamente si rifà. L’attenzione al canto popolare italiano risale in Germania a Herder, che avviò l’etnopoetica, a Goethe e a Carl Witte, ha tradizione nobile. Ma Müller, morto di 31 anni come Schubert, fu giusto il liederista del compositore (“Viaggio d'inverno”, “La bella mugnaia”). Mentre O.L.B.Wolff fu uno che la Jewish Encyclopedia registra come “improvvisatore e narratore tedesco”, ma che si presentava come dott. prof.. Basta a volte un po’ di passione, e di attenzione, non molta.

leuzzi@antiit.eu

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