Cerca nel blog

giovedì 18 ottobre 2012

Il mondo com'è (114)

astolfo

Destra-Sinistra - Il fascismo non fu di destra, torna periodicamente con Evola il tormentone: “Non siamo fascisti né antifascisti, l’antifascismo è nulla, il fascismo troppo poco”. I balilla, le adunate, le masse? Roba da Homo Sovieticus. Céline era del parere, perfido. E Pound ammirato: Mussolini e Stalin uniti nella lotta. O Lawrence d’Arabia. La destra è indocile. Anche Schopenhauer mai fu succube, non alla filosofia dominante, nella quale ambiva entrare. La barbarie è l’uguaglianza. Il popolo, che l’uguaglianza subisce, si difende con la furbizia.

Filioque – Una “e” divide la chiesa romana da quella bizantina. La controversia è nota, vecchia di oltre un millennio, insanabile a molti tentativi di conciliazione illustri, compresi i concili di Ferrara e Firenze. Se cioè lo Spirito Santo discenda la Padre e dal Figlio, come recita il “Credo” latino, oppure no. La controversia sulla e era stata preceduta da quella sul da tra Tertulliano e Marcione. Tertulliano aspro rimproverava a Marcione, e la contesa fu lunga: “Voi dite che Cristo è nato a mezzo di e non da una Vergine, e ancora, “in una matrice e non da una matrice”. La teologia è intollerante, anche se non sa di che cosa.

Islam – Nella battaglia sempre perdente dell’immagine e della modernità (diritti dei deboli, democrazia), l’islam punta ultimamente a distruggere uno dei suoi pilastri, fino al tardo Novecento ancora incontestato: la cultura. La storia. In Afghanistan, nel Corno d’Africa, in Algeria, nel Mali.
Il colonialismo non avrebbe saputo fare di più. È curiosamente l’argomento di Jean Michel Djian, professore di scienza politica a Parigi, che ha voluto produrre in controtendenza “La manuscrits de Tombouctou”, una testimonianza della “fantastica biblioteca” Hamma-Haidara della città maliana. Un capitale, afferma, che fu tenuto a lungo nascosto dagli interessi convergenti dei griots, i cantastorie guardiani della storia orale, molto forti socialmente nel Mali, e delle amministrazioni coloniali.
Djian aveva avviato il suo progetto all’indomani della famosa gaffe di Sarkozy a Dakar nel luglio del 2007: “L’uomo africano non è entrato a sufficienza nella storia”. E lo ha affrettato dopo l’occupazione il 2 aprile della “città dei 333 santi” da parte di uno dei tanti gruppi Ansar, difensori, della fede, dell’islam, della tradizione. Che subito dopo, il 30 giugno, distrussero, nel nome della fede e della tradizione, una quindicina di mausolei secolari di santi.

Italia – È vittima dell’Ottocento. Anche se illustrò il secolo con l’unica vera rivoluzione nazionale, sentita, combattuta, e riuscita. Suscitò il pregiudizio in una con l’affermarsi del nazionalismo nella storia europea, con l’ideologia dei primati. Che anche l’Italia adottò, ma senza convinzione. Mentre altrove essa è passata sopra a ogni velatura o dubbio. Già nel 1822 Beethoven sordo spiegava a Rossini che l’opera non fa per gli italiani – dopo averci tentato inutilmente, con tre ouverture per un’opera di cui fu incapace, “Leonora”, e un “Fidelio” che si rappresenta giusto perché è simpatico.
È vittima, nell’Ottocento, della Restaurazione. Che la tagliò fuori dall’Europa, con l’eccezione del Piemonte - anzi dei cavourriani o liberali, non la maggioranza, del Piemonte. Anche nel resto d’Europa c’era la Restaurazione, ma il seme della Rivoluzione non marciva. Si prosciugavano le paludi, s’irrigavano le colture, si scolarizzavano le masse, si costruivano strade e ferrovie, si creavano industrie, mentre in Italia bisognerà aspettare da cinquanta a cento anni. All’unità erano analfabeti due italiani su tre – all’estremo opposto, in Prussia e in Svezia, uno su cinque. Anche l’unità si fece nell’ignoranza, dei dialetti, delle culture e perfino della geologia, lo diceva Cattaneo. L’agro romano sarà risanato soltanto negli anni 1920-1930.

Si può anche dire l’Italia vittima di se stessa. Il pregiudizio si coagulò con la Restaurazione non per speciale malanimo d’oltralpe ma per un evidente lag, normativo, produttivo, culturale, che si creava nella penisola. Per effetto della politica retriva dei principi, ma anche per una singolare debolezza del suo ceto intellettuale. Acuta negli studi storici. E ancora di più nella storia ormai lunga della Repubblica. Le uniche storie della Repubblica sono di storici del Pci. Si contano gli studi, nei settant’anni della Repubblica, non contemporaneisti.
Ci sono più studi all’estero, specie nel mondo anglosassone, negli anni della Repubblica, su Machiavelli, Mazzini, lo stesso Garibaldi, il Risorgimento, la nascita del “Mezzogiorno”, che in Italia. Mazzini, per esempio, è scomparso totalmente. Di cui molto si è parlato a Harvard un anno fa, in una tre giorni di studi su Margaret Fuller, che fu a Roma corrispondente della “New York Herald Tribune”, e di Emerson, negli anni della Repubblica romana. Mazzini che in America si considera l’ispiratore del nazionalismo liberale. Così celebrato dal presidente iperdemocratico Wilson a Genova nel 1919: “Sull’altro lato dell’oceano abbiamo studiato la vita di Mazzini quasi con lo stesso orgoglio come se partecipassimo alla gloria della sua storia, e sono felicissimo di riconoscere che il suo spirito ci è stato trasmesso, a noi di una più tarda generazione, da entrambi i lati dell’oceano”.  

Mercato – Fallisce, sta fallendo da ormai sei anni, sui due suoi presupposti: l’equilibrio tra domanda e offerta, il ruolo equilibratore dei prezzi. Non c’è equilibrio, non c’è infatti riequilibrio da sei anni nei mercati finanziari, malgrado i tanti tentativi e l’impegno della politica più forte, per esempio negli Usa. Essi sono oligopolistici, dominati da minoranze, si può dire per natura, e fatalmente confluiscono in gruppi di potere. Né c’è incontro tra domanda e offerta di lavoro in base ai prezzi. La caduta dei salari nelle economie sviluppate, perfino dei salari nominali oltre che di quelli reali, non porta a più occupazione. Influisce infatti negativamente sulla congiuntura, e quindi sull’occupazione stessa, riducendo la domanda.

Nobel – Si può dire il premio al disordine economico, se non alla speculazione. Premia da troppi anni ormai economisti motivazionali – psicobiologi, sociologi, filosofi - e matematici legati all’industria finanziaria. Consulenti di modelli motivazionali o matematici che inevitabilmente conducono al fallimento, aziendale o di interi sistemi economici come è il caso dal 2007. A spese del mercato, cioè del risparmiatore. Scienziati che migliorano (affinano, arricchiscono) il gioco per il banco, a carico sempre e comunque del singolo giocatore. Solo un po’ meglio - più sofisticati - del vecchio truffatore che paga lauti interessi per poi scomparire col capitale. Non un modello econometrico, o un algoritmo, è stato approntato, forse nemmeno studiato, a protezione dei giocatori. Perdenti quindi a maggior ragione grazie ai Nobel.
Si può anche arguire che la scienza non è lineare, perlomeno non la scienza economica. Ammesso che l’economia sia una scienza, cosa, sotto i colpi dei Nobel, sempre più contestata.

astolfo@antiit.eu

Nessun commento: