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venerdì 19 ottobre 2012

Napoli capitale del buongoverno

Il riepilogo delle competenze accumulate dallo storico in una vita, sul Seicento a Napoli, “La rivolta antispagnola a Napoli di quarant’anni fa, “L’uomo barocco”. E il sorprendente quadro di una Napoli civile. Nel Seicento. Aperta alle intelligenze e consapevole, applicata. In cui perfino la giustizia è giusta: i nemici del potere perseguitando ma con giudizio, e senza ammazzarli prima – Villari dice che era peggio, che “le buone intenzioni e i sogni proibiti erano talvolta puniti con una crudeltà più grande della morte”, ma è una licenza linguistica.
È sempre la Napoli dal 1585, della rivolta popolare e della conseguente uccisione dell’Eletto del popolo Giovanni Vincenzo Starace, fino al 1647 – la breve repubblica di Masaniello. “Il dominio spagnolo non incontrò in Italia soltanto passività, inerzia, provincialismo e ribellismo primitivo. Il sogno di libertà è storia: un movimento composito e multiforme, che coinvolse popolazioni e singole personalità, uomini e donne, si collegò idealmente con le correnti di riforma dei centri più importanti dell’Europa moderna”, dei Paesi Bassi, della Catalogna, del Portogallo, “e della stessa Spagna, e culminò nella rivoluzione del 1647”. Sorprendente ma prevista, il culmine di lunghe e costanti tensioni.   
Tra i tanti personaggi che animano questo vigoroso affresco, la menzione di uno dei minori è indicativa della “qualità della vita” a Napoli nel primo Seicento. L’economista Antonio Serra, nato a Celico, alla falde cosentine della Sila, nel 1550 circa, la cui memoria si conserva solo nell’elogio che ne fa Galiani, correttamente individuava la debolezza del Regno nel deflusso dei capitali a favore di affaristi forestieri. Non poteva dire che il re e i viceré si vendevano il Regno perché era in prigione, per aver partecipato alla famosa insurrezione antispagnola della Calabria di cui non si trova traccia, che veniva addebitata (principalmente) a Campanella. In carcere dal 1613, vi scrisse un “Breve trattato delle cause che possono far abbondare i regni d’oro e d’argento dove non sono miniere” – che dedicava al viceré, Pedro Fernandez de Castro y Andrade, conte di Lemos, in offa per la clemenza. Serra “inventava” la bilancia dei pagamenti, aggiungendo alle importazione ed esportazioni di beni materiali, nel calcolo del benessere del Regno, anche i servizi e i movimenti di capitale. 
Rosario Villari, Un sogno di libertà, Mondadori, pp. 715 € 24

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