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lunedì 15 ottobre 2012

Letture - 114

letterautore


Età – I poeti si vogliono vecchi, saggi?, i romanzieri giovani, avventurosi? Montale  Ungaretti, Quasimodo, Saba, Luzi, per non dire i più vecchi del Novecento, Pascoli, D’Annunzio, o i più giovani, Zanzotto, Bertolucci, Pasolini, Merini, Raboni, sono stati giovani, giovani poeti, ma celebrati solo da vecchi. Il romanziere invece dev’essere giovane – la romanziera di più, giovanissima.

Evola - Non pentirsi, sostenne quest’altro fascista non fascista che è stato Evola, che la rivoluzione voleva contro il mondo. Che non è sbagliato, anzi è giusto, lo dice pure Spinoza al libro Terzo dell’Etica: si soffre inutilmente, e non si fa un favore agli altri. Si pentono gli amanti, e spergiurano e piangono, e i vecchi comunisti, per bere le proprie lacrime, un esercizio di consolazione, non di lealtà o verità.

Si trascura da tempo questo rivoltato - dopo un tentativo della sinistra quaranta o cinquant’anni fa, di annetterselo, non c’era materia. Che si ribattezzò Julius. Ingegnere mancato, pittore, socialista, teorico del sangue, alpinista di sesto grado superiore, “anarchico-indianista (mistico)” nei rapporti di polizia. Un dadà e un patriota, ma avverso a futurismo, reducismo, irredentismo, fascismo, filosofo non banale e maestro a molti, benché cattivissimo, specie con gli ebrei, i falsi Protocolli di Sion” autenticando veritieri, sulla schiena rotta sulla quale infine riposa. Si può capirlo, si avventurò a tradurre Spengler, bel coraggio, dopo cinquant’anni, e forte tempra: ci vuole stomaco per quelle 1.500 pagine, un traduttore ci andrà come per zattera sull’oceano. Martire quindi o Marcuse della destra, lettura di mezza Europa negli anni del consenso. Benché attento a limitare i danni: antimussoliniano dopo essere stato col duce a Salò, antihitleriano quando il Reich fallì. L’intellettuale impegnato sempre si disimpegna.
Barone come Giacinto Scelsi, siciliano e di Buddha, ma sulfureo: Barone Nero. Teorico delle culture irriducibili, e della negrizzazione degli Usa, l’apartheid pretendendo pure nelle praterie, se non la deportazione degli ex schiavi. L’accettazione dei “valori di libertà della Resistenza” da parte dei neo fascisti, e la critica delle leggi di Mussolini contro gli ebrei disse “non simpatico cedimento”. Razzista radicale, non per quarti o decimi di sangue, benché antimaterialista, a tre livelli, nel corpo, l’anima e lo spirito, e quindi antisemita. Ma senza esserlo stato quand’era gradito. Col vizio dunque dell’anticonformismo. E dello spreco: quanta dottrina asservita ai falliti, a difesa della tradizione, con le mitiche costruzioni dei miti, degli “aria” iperborei, anzi polari, e indoeuropei, e la rincorsa agli imprendibili “anari”, i miti sfuggono da tutte le parti, per darsi infine la “calma superiorità dell’anima aria”. La razza esiste, è un riflesso condizionato che si può perdere ma non lo perdono gli altri: c’è sempre un noi e gli altri. Quale razza e quale sangue però non si può dire, è difficile essere bianchi nella stessa Europa, Evola lo provò di persona in Germania e Scandinavia. Monumento sarà dell’intelligenza stupida, o viceversa. Senza contare che gli “aria” dell’India originari sono neri, perlomeno scuri.
Imperialista si voleva “integrale”. Con un limite, dice Yourcenar: “Il barone Julius Evola, che nulla ignorava della grande tradizione tantrica tibetana, non s’è mai dotato dell’arma segreta dei lama, il pugnale-per-uccidere-l’Io”. Nefasto come ogni miracolato, quale egli si ritenne per essere sfuggito al bombardamento di Vienna che lo lasciò paralitico  il barone ha insegnato l’Oriente alla Yourcenar, che dev’essere stata una bella ragazza, a Roma la concupivano in tanti.  Era per Massimo Scaligero, che pure gli fu amico, “il cattivo maestro di corso Vittorio”, alla Chiesa Nuova. Dove rieducava i ragazzi difficili tra imprendibili Graal, ghibellino in terra santa, riconciliando le sparse origini cristiane - giudaiche, iraniche, elleniche - coi fratoni celtici, e i cavalieri medievali con celata e corazza che vedevano la Madonna. E dove, se guardava fuori dalla finestra, sarà soffocato dalla collera, al sesso finito laico in spasmo breve. Massimo Scaligero non perdonava a Evola di predicare l’odio, per legarsi i ragazzi: “il parapoeta” lo chiamava, bel nome, dovrebbe essere in Tucidide, il contraffattore – anche Massimo ha pagato il suo tributo al razzismo, La razza di Roma, a proprie spese presso un tipografo di Tivoli, nell’anno bruttissimo 1939, ma sapeva dell’errore, benché blando.

Infanzia – È una vita complessa multiforme, agilissima, rapidissima. Al confronto i ricordi-ritratti d’infanzia che proliferano dopo Proust sanno di oleografico, molto inferiori al modello. Che non è remoto, ognuno può fare la differenza. È la letteratura che ha messi limitati? È l’età adulta, che procede per cliché?

Italiano – L’ultimo disco di Cecilia Bartoli, un impegnativo lavoro di ricerca e riproposizione di un compositore  italiano dimenticato, Agostino Steffani, è guarnito di un ricco libretto illustrato. In inglese, tedesco e francese. L’italiano non c’è.

Matrimonio – È ridiventato tema di narrazione, ma dal punto di vista del single. Che è quello del bambino freudiano, del buco della serratura: il single si meraviglia di cosa possa accadere nella camera da letto degli sposi. Non molto tempo fa la camera da letto degli sposi era al centro della storia familiare emiliana (A.Bertolucci, Avati). Ora è oggetto di sospetto, se non di cattiveria. Di curiosità oscena. È una forma del disprezzo dell’altro – della diffidenza - che affligge il single, per quanto soggetto privilegiato della pubblicistica e della pubblicità?

Moravia – È il narratore per eccellenza del Novecento, benché trascurato. Nelle tematiche delle narrazioni, negli sviluppi, e anche, malgrado tutto, nella lingua, è sua la koiné dell’ancora lungo dopoguerra. È uno dei pochi narratori che si possono rileggere, sui rapporti familiari, sociali, di classe, e anche nelle poche prove d’invenzione.
Dominatore in vita dell’ambiente letterario, e insieme sua vittima.  Per colpa sua, essendosi sempre circondato di gente mediocre (Pasolini non ne ha scritto)? Non ha cultori, non il critico psicopompo, che lo “fa” e lo impone nella repubblica delle lettere. Che pure si riteneva (lui riteneva) dominasse. Quando venne a “Repubblica” a farsi intervistare per i 75 anni e sbagliò giorno, l’intervistatore non c’era, Rosellina Balbi si limitò a dirgli: “Guardi che non è oggi”, e se ne andò in tipografia, lasciandolo confuso, sembrava un bambino incerto – Scalfari, passando, si limitò a riderne.
Era, socievolissimo, un solitario. Diffidente, sospettoso anche, ma soprattutto poco interessato al contatto umano, dell’ambiente e di fuori ambiente. Incontrava gente ogni sera, ma per essere ammirato, dei tanti incontri anche “importanti” non la lasciato note, ritratti, indiscrezioni.

Viaggio – “I poeti viaggiano ma l’avventura del viaggio non li possiede”, dice Michaux in “Passaggi”. Escludendone Cendrars, viaggiator vero, nel senso che si sposta fisicamente. E i tanti che hanno viaggiato alla maniera di Cendrars, per viaggiare: Nerval, lo stesso Michaux, forse Omero. I poeti raminghi, come l’artigiano, del Medio Evo? E Dante? Petrarca? Boccaccio? Anche molti grandi sedentari avrebbero voluto viaggiare, per esempio Baudelaire dell’“Invito al viaggio”. Andrebbe detto al contrario: i poeti non viaggiano (non si adattano, non hanno le risorse, non sono ricettivi) ma l’avventura del viaggio li possiede. Coi tempi loro, questo è il punto, mentre un viaggio vero, con lo spostamento, si impone. Marguerite Yourcenar, grande viaggiatrice nei racconti, non ha memorie felici di viaggi per nave o in aereo.

Michaux, di cui resteranno almeno due dei suoi libri di viaggio, “Un barbaro in Asia” e “Ecuador”, vuole i suoi viaggi pretestuosi: “I miei paesi immaginari: per me delle specie di Stati-tampone, per non soffrire la realtà”. Per esempio in Brasile per non incontrare i brasiliani: i magi (del “Paese della magia”!, n.d.r.) furono iniziati l’indomani del mio arrivo a Rio de Janeiro, separandomi così bene dai brasiliani, coi quali non trovavo il contatto (la loro intelligenza caffeinata, tutta riflessi, mai riflessioni), che potrei quasi dire, malgrado il tempo passato laggiù, che non ne ho mai incontrati”. Dove la parentesi è però tutta un viaggio – contestabile. E la pretesa è dunque falsa di non aver incontrato un brasiliano. Il viaggio si presta alla libera bugia. 

letterautore@antiit.eu

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