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giovedì 13 settembre 2012

Tassare la povertà

C’è dunque per legge l’obbligo del conto corrente in banca. Mai gratuito – il costo minimo, del Bancoposta, è di 30 euro l’anno (in realtà il doppio). Con una tassa mensile, 35 euro l’anno. Si è ora aggiunta – c’è da tempo ma non ce l’avevano detto - una tassa trimestrale sul possesso di titoli, altri 35 euro. Retroattiva. Titoli di cui non ci si può sbarazzare, essendo mediamente al 50 per cento del valore di carico. Piccole cifre? In effetti, ma fanno subito i milioni dovendosi applicare a tutti i cittadini. Poveri compresi. Tassare la povertà? Non ci aveva pensato nessuno.
Il repertorio più completo delle tasse è sempre di Aristotele. A caso: vendere il demanio (si fece a Bisanzio), vendere la cittadinanza agli immigrati (idem) e ai fuggiaschi, mettere all’asta lo spazio sovrastante le costruzioni abusive che sporgano sulla pubblica via (Ippia di Atene: gli abusivi corsero a comprare a caro prezzo), tassare le scale e i ballatoi sul suolo pubblico e le porte che aprono verso l’esterno (sempre Ippia, che così tassava tutti: le porte si aprivano allora verso l’esterno, dalla parte della strada, prima di aprirle si bussava dall’interno), gli incarichi pubblici e privati (vari), i capelli lunghi (Condalo, luogotenente di Mausolo), i funerali (lo stesso). Lo Stato italiano si è già rifatto a Aristotetele, e Ippia, nella crisi del 1974, tassando “la proiezione sul suolo pubblico di balconi, tende e pensiline, anche se da ciò non deriva alcuna limitazione all’uso dello stesso”, una tassa sull’ombra. Monti ha superato Aristotele.

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