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sabato 18 luglio 2015

Come sfruttare Dino Campana

Le ultime sono toccanti. Sono di  Campana, senza risposta. Altre ce ne sono, vere lettere d’amore, gioiose e disperate, nei mesi precedenti – poche, Sibilla curava solo se stessa – sempre di Campana. Il resto è di una passione incredibilmente artificiosa. Incredibile, cioè, che quella voluta da Sibilla Aleramo col poeta dei “Canti orfici” sia passata per una grande e tragica storia d’amore. Tragica sì, ma per Campana.
Una scrittrice famosa, con mezzi, introdotta a Firenze, Milano e Roma, amante delle avventure d’amore, e un poeta outsider molto isolato e un po’ disadattato, che amici e estimatori, tiepidi, si limitano a sopportare. E mai un segno di generosità, altruismo, sollecitudine. Salvo sfruttarne la memoria quando il poeta sarà apprezzato postumo, molto dopo la morte, e dopo quindici anni di abbandono in manicomio. Da ultimo con questa raccolta di lettere. Che si rilegge con tristezza, come un’ulteriore violenza al poeta.
La curatela è di Bruna Conti, con qualche svarione e senza contesto, senza nemmeno riferimenti alle precedenti edizioni di Niccolò Gallo e Franco Matacotta, se non per varianti insulse, coma una “vera e pura” storia d’amore, e la violenza si raddoppia. Bruna Conti, artefice della persistente considerazione della Aleramo, in prosa, in versi e in epistolari, fu partigiana valente nel 1944-45, e poi compagna del migliore forse dei capi partigiani, Luigi Longo, e non si capisce come si sia potuta dedicare una vita a un persona e scrittrice artificiosa da tutti i punti di vista. Se non per il motivo che Aleramo volle essere anche comunista, e lasciò erede delle sue cose il Partito. Non si spiega altrimenti il mito di un personaggio e una scrittrice mediocre – anche “Una vita”, il selfie del fulminante esordio, è a rileggerlo falso, come aveva fiutato Croce. Tenuto in vita dagli Editori Riuniti prima, la casa editrice del Pci, con Gallo, Claudio Rendina e la Fondazione Gramsci, poi da Feltrinelli - Campana verrà scoperto da Enrico Falqui, che però è trascurato in questa e altre pubblicazioni: perché non era del Pci?
Una storiaccia. Un assedio più che una corrispondenza, posto e levato all’improvviso. Alla prima crisi, a Marina di Pisa, dove l’aria di mare acuisce i sensi di Dino, che non sopporta più le infedeltà e le menzogne di Sibilla, lei lo abbandona, “spossata”. Dopo due mesi di “eterno amore”. Campana la cercherà ancora, pur definendola giustamente “troia” - per i rapporti che intrattiene con gli amici-nemici fiorentini di Campana (Papini e Soffici si perdettero senza sensi di colpa il primo manoscritto dei “Canti orfici”, senza anzi nemmeno cercalo – verrà ritrovato in casa di Soffici sessant’anni dopo, allo sgombero), oltre che con passati amanti, tra essi un diciassettenne. Da lei nemmeno una cartolina postale, solo un immediato sfruttamento della storia coi comuni corrispondenti, in cerca di compassione, ospitalità, e appoggi editoriali. Un romanzetto, nemmeno romantico, né solforico. Solo artefatto – Campana l’ha intuito, che le scrive timoroso: “Voi non mi farete forse più soffrire, non mi romanzerete, sarete meglio di una romanziera, è vero?”. Sibilla si dice subito “il primo e ultimo amore” del poeta, lo stile è questo. Senza echi nell’opera di Campana. Ma sulla sua salute sì, se volessimo fare la storia vera.
Sibilla Aleramo-Dino Campana, Un viaggio chiamato amore. Lettere 1916-1918

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