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domenica 27 maggio 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (364)

Giuseppe Leuzzi

“Un appalto pubblico, un cantiere pubblico, dura 25 anni. Ridurlo di qualche ano non dovrebbe essere difficile”. È considerazione dell’allora capo del governo Craxi trent’anni fa. Oggi la durata media non è inferiore. Si fa antimafia in abbondanza, anche al Nord, ma di corruzione si parla poco. Ma la mafia è corruzione.  

All’improvviso Froome, in difficoltà per quasi un mese, una mattina si alza e sulle Alpi stacca tutti di ore. Impresa, leggenda, eroismo. Poi, tanto, si saprà che era drogato. Fra qualche anno.
Le federazioni sportive hanno preso dall’antimafia in Italia. Non intervengono subito, dopo alcuni  lustri, quando la memoria si è sfocata: lo spettacolo (mafia) deve continuare.

Di greco si dilettava nel primo Trecento Petrarca, maestri i due eruditi religiosi calabresi Barlaam di Seminara e Leonzio Pilato. Ma a Parigi il greco ancora due secoli dopo era proibito, e chi lo studiava era passibile di condanna – fu per questo perseguito nel 1523 Rabelais.
Il greco, la lingua e il culto ortodosso, fu perseguito con costanza e durezza dai papi anche al Sud, attraverso la conquista normanna e con altri mezzi. Per lo stesso motivo di Rabelais, la conoscenza del greco avrebbe favorito la lettura del Vecchio Testamento – la lettura “non autorizzata”.

Il materialista che incarna Diderot nel “Sogno di D’Alembert”, l’illustre clinico Bordeu, enumera a un certo punto, quale suo campo di competenza speciale, i “fenomeni generali” della “rete umana”: “La ragione, il giudizio, l’immaginazione, la pazzia, l’imbecillità, la ferocia, l’istinto”. Manca il vittimismo, il senso di colpa.

L’infanzia immaginaria di Fonte
Marcello Fonte parla figurato. Il protagonista di “Dogman”, premiato a Cannes. Del regista Garrone per esempio dice: “Abbiamo colorato assieme”, nel senso che abbiamo dato colore e forma al personaggio. Della sua figlia nel film, Alida Baleari Calabria: “Lei era la professionista. Le ho detto guidami tu, io non sono padre e lei invece è figlia”. Nella presentazione e nei commenti abbonda di immagini, è fatto così. Lo è sempre stato, la mamma da Arghillà assicura: “..”. Si racconta così: “Da piccolo quando ero a casa mia e pioveva sopra le lamiere chiudevo gli occhi e mi sembrava di sentire gli applausi”. Oppure: “Vengo dalle grotte calabresi, da ragazzo non sapevo neppure cosa fosse un cinema”.
Si fa una biografia fantasiosamente disastrata, nel suo linguaggio. Ma viene recepito tale e quale. E quindi è un bambino cresciuto tra le baracche di lamiere di Archi – un po’ meno periferia di Reggio Calabria di Arghillà – e le grotte. Sul torrente Scaccioti, deposito di immondizie. E chi o fa il più piccolo di cinque, chi di sette fratelli – sono sette. Alla fame. Con un padre che non si sa cosa, ma o era malato o disoccupato, col nimbo di barbone. Come se ad Archi ci fossero, o ci siano state, baracche, e grotte. Mentre è di famiglia piccolo borghese. Dalla quale torma sempre, ogni estate. I suoi fratelli maggiori sono professionisti. È stato scout – Agesci, quindi col cinema in parrocchia, se non fuori. Viene da Melito Porto Salvo, altro paese senza baracche e senza grotte. Ad Archi il padre aveva costruito un baracchetta accanto al torrente, nel cui alveo aveva ritagliato un giardinetto-orto.
Il suo amico d’infanzia più stretto, Francesco Chindemi, è giornalista importante a Reggio Calabria, direttore di Reggio-Tv.
Un favolistica anticipata da lui stesso, tre anni fa, in “Asino vola”, insieme con Paolo Tripodi, il filosofo, altro suo grande amico – in un film che però non si sa ancora se è stato girato, montato, copiato, se c’è o è solo immaginario. Le riprese comunque le ha fatte, attorno alla “discarica” del torrente Scaccioti inventandosi il suo mondo di avventure, il suo “sogno” come lo diceva agli amici. Perché ora la discarica è vera, lo Scaccioti è diventato zona di discariche abusive: la gente butta lì i suoi sacchetti invece di conferirli alla differenziata. È sempre miseria, ma di altro tipo.

La camorra virale
Si commemora Enzo Tortora a trent’anni dalla morte, ferito dal linciaggio giudiziario cui fu sottoposto. Si commemora dagli istituti di ricerca e informazione sulla giustizia, e di pochi isolati. Tra essi Saviano, che sull’ “Espresso” racconta come nacque Tortora camorrista e spacciatore: “Nasce sotto forma di livore camorristico. Giovanni Pandico, detto «Gianni il Bello», manda alla trasmissione di Tortora, Portobello, un centrino perché sia messo all’asta in trasmissione.Il manufatto viene perso e Pandico riceve del denaro come risarcimento. Ma lo smarrimento genera una rabbia infinita e Pandico inizia a parlar male di Tortora. Le calunnie finiscono col diventare virali nelle celle e il nome di Tortora inizia a circolare negli ambienti di camorra”.
Una favola. Dei giudici e i cronisti che si sono illustrati con le disgrazie di Tortora, e poi hanno inventato la viralità carceraria. Come se la camorra, per di più, fosse fatta di stupidi . Mentre si seppe subito, da lontano, che erano accuse inventate – ci voleva molto pelo sullo stomaco per credere a “Gianni il Bello”, anche solo a vederlo. Che era una farsa, a carico di un personaggio isolato politicamente – non piaceva al Pci. E anche caratterialmente: un altro avrebbe distrutto i suoi persecutori - ci avrebbe provato.

Milano
Singolare la rispondenza di linguaggi tra i vignettisti tedeschi e Salvini a proposto di Italia-Germania. La stessa rozzezza di linguaggio. La stessa pretesa di superiorità. Tra vignettisti e giornalisti che magari si riposano dall’essere tedeschi solo in Italia, dove il vino buono non è caro, e si mangia certamente bene. Da una parte. Dall’altra Salvini che fino a non molto tempo fa voleva per moneta italiana il marco. Ora non vuole l’euro, ma con la stessa pretesa di superiorità.

L’allenatore dell’Inter Spalletti non ce la fa più e sbotta: “La società non ha mantenuto le promesse”, e “Qui i calciatori si tende a sciuparli, non a valorizzarli”. Esacerbato al punto da violare a riservatezza che gli allenatori si impongono.

Cecilia Bartoli, che ha portato Rossini e il melodramma barocco in tutto il mondo, di cui è beniamina, presso i melomani e non, sbarca finalmente alla Scala. Con tre opere di Händel. Ha provato a suggerire Vivaldi, e niente: “Incredibile”, dice a Giuseppina Manin, “ma alla Scala non è stata mai eseguita una sua opera”. Milano è monopolista, anche gelosa, e affannosa.

Il calciatore De Vrij, della Lazio, è acquistato dall’Inter alla vigilia di Lazio-Roma che decide la partecipazione alla Champions League. Non si potrebbe, col campionato ancora in corso, ma all’Inter è concesso, la Lega Calcio è ben milanese.

De Vrij poi provocherà il rigore che porta l’Inter al pareggio, e alla qualificazione a spese della Lazio. Che De Vrij giocherà come interista: in pratica ha fatto guadagnare all’Inter i soldi per pagarlo. Un affare perfetto.

Il “gattopardo” è milanese, anche lui? Sergio Fabbrini, lo scienziato politico, tirando le somme del ribaltone politico il 4 marzo, conclude: “Come è avvenuto spesso nella nostra storia, il radicalismo (dell’anti-Casta) e il conservatorismo (delle istituzioni) si sono alleati per lasciare le cose come stanno”. Dell’anticasta avendo fatto risalire la responsabilità al “Corriere della sera” e ai suoi interessi padani.

Il 4 marzo si è avuto il maggiore ribaltone di tutte le elezioni politiche italiane, e forse mondiali, calcola lo stesso Fabbrini: circa due terzi dei parlamentari sono nuovi. Un ribaltone ardentemente invocato da  “Milano”, che compatta ha votato Lega, non da ora. Ma il giorno dopo si stracciava le vesti. Il govern che “Milano” vuole è del non-governo, la crociata “Roma ladrona” è tutta qui, il populismo.

Il 20 aprile al tempio di Adriano a piazza di Pietra a Roma, presentando il libro del direttore del “Mattino” Barbano, “Troppi diritti. L’Italia tradita dalla libertà”, l’ex direttore di lungo corso del “Corriere della sera” Paolo Mieli ha spiegato come il populismo viene da Milano. Per colpa dei suoi giornali,“compresi quelli da me diretti in questa fase lunga che dura ormai da 25-30 anni”. Mieli collaboratore di giustizia? Ne avrebbe, di cose da rivelare.

Le responsabilità sono enormi”, ha detto Mieli, “e sono a) di non aver capito per tempo b) di aver pensato che alcuni fenomeni si potessero assecondare perché tanto poi…”. Si è fatto “grosso modo lo stesso errore che fecero le classi dirigenti nel 1922-1925. Pensavamo ma sì, lasciamo che la società civile si esprima, e poi ci penseremo noi che siamo forti, potenti, e con le idee chiare a ricondurre questi movimenti alla ragione. Neanche per sogno”. Ma Milano non è stupida, sa quello che fa.


Non è il primo ravvedimento di “Milano” – o di Mieli, che in fondo è e resta romano. Sulla rivista “Tempi” Mieli disse “ho esagerato”, sponsorizzando il giustizialismo detto di Mani Pulite, che liberò la corruzione. “È stato un errore” disse poi della campagna contro Antonio Fazio e la Banca d’Italia – voluta dal socio occulto d’allora (dietro un certo Rotelli) del “Corriere della sera”, Giovanni Bazoli. Come anche, per lo stesso mandante, contro Tronchetti Provera. I milanesi si azzannano volentieri tra di loro, il patron della Pirelli come Berlusconi, gli affari sono affari. 

Roma è molto più vuota di un giorno feriale per la giornata conclusiva del Giro d’Italia. Conferma la condanna di Milano, che il Giro ha voluto concludere a Roma, dopo la vittoria della Lega? L Roma apatica, ladrona, etc.? È semplicemente Roma, l’unico antidoto a Milano. Agli affari anche di domenica – la tappa non aveva nulla di sportivo. 

leuzzi@antiit.eu

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