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sabato 2 giugno 2018

La peste tedesca e i suoi monatti

Se è la peste, da dove viene l’infezione? La domanda non si fa, mentre dilaga l’allarme.
La domanda si pone con la copertina violenta di “Der Spiegel”, il diffusissimo settimanale tedesco, ieri in edicola (oggi in Italia), non mutata di una virgola malgrado le polemiche e le proteste. Con lo spaghetto in forma di cappio e la dicitura: “Ciao amore! L’Italia si autodistrugge e trascina l’Europa con sé”.
Questo disprezzo – si dice paura ma è disprezzo - in Germania è un luogo comune. Non da ora. Non solo contro l’Italia. Tutto dà fastidio ai tedeschi uniti – ai giornali tedeschi, agli economisti tedeschi, ai consulenti e commentatori, ai politici, di tutti i partiti. Anche a quelli che vivono o lavorano fuori – compresi i direttori tedeschi messi da Franceschini a capo dei musei: si lamentano molto. Perché è un’altra Germania dopo la riunificazione, non più quella di Bonn, con cui l’Europa unita si è fatta.
Il bacillo della peste è la crisi perdurante, dopo dieci anni. Con presunti salari di pochi euro (e molta assistenza pubblica) in Germania. Con l’inoccupazione dei giovani in Italia, l’impasse ormai senza via d’uscita di una generazione, di venti-trentenni. La crisi è perdurante per la volontà politica della stessa Germania, che impone un’economia basata sulle esportazioni, e quindi su salari compressi e una distribuzione del reddito asfittica.
Il problema è la Germania e non l’Italia. E a questo punto irrisolvibile. Per l’Italia come per la stessa Francia, che pure l’opinione in Germania fa finta di rispettare, perdurando la colpa, e per ogni altro, specie per gli slavi, occidentali (Polonia, etc.) e meridionali (Slovenia, etc.) – non più per la Gran Bretagna, non per altro se ne è tirata fuori. L’insistenza di Mattarella, con la crisi del non-governo e il suo sguardo dell’ira, a portare l’Italia con le brache calate di fronte a questa “Europa” indebolisce il già debole potere contrattuale dell’Italia, effetto del debito. Paradossalmente, difendono l’Europa quelli che dicono che bisogna rivedere i conti.

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