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domenica 27 maggio 2018

I malgoverni del Quirinale

“Nessuno può sostenere che io abbia ostacolato la formazione del governo che viene definito del cambiamento”. Due minuti di psicodramma quale raramente si vivono  tv,  in diretta sui telegiornali, all’ora più seguita. Di un presidente della Repubblica che si presenta scuro in volto. Esordisce con una scusa non richiesta. Dopo avere liquidato, fatto senza precedenti e senza radici costituzionali, un governo politico che il Parlamento responsabilmente aveva concordato, e il solo possibile nella legislatura. E non ha nemmeno un governo di ricambio, uno suo, a quasi tre mesi dalle elezioni. Dopo un mite presidente incaricato che rinuncia disteso senza una parola di commiato dal presidente.
Non è la prima volta che il Quirinale si arroga la decisione sul governo, contro la maggioranza parlamentare. Anche se non in questi termini drammatici, al debutto della legislatura, senza una ragione, e in televisione. E tutte non hanno portato bene. 
Lo fece Gronchi nel 1960 con il governo Tambroni che nessuno difende. Scalfaro lo fece nel 1994 con Berlusconi, contro una riforma delle pensioni che non gli era gradita, non era gradita alla Cgil, molto migliore della Fornero, più progressiva, e senza lesione dei diritti acquisiti, con vent’anni quasi di anticipo, che avrebbe da sola risolto il problema del debito. Napolitano lo fece nel 2011 con l’infausto governo Monti.  Ora Mattarella, che non ha voluto il governo Conte, della maggioranza parlamentare, e non  ha nemmeno una sua soluzione.
Un decisionismo che non è legale, e non porta bene. L’eccesso di poteri del presidente, che è il notaio di una Repubblica parlamentare e non un presidente eletto con poteri assoluti.
Scalfaro si riservava i ministeri dell’Interno e della Giustizia – oltre che i capi della Polizia, Masone dopo i “suoi” Parisi e Coronas. Nel suo primo governo, Amato, 1992, sostituì  Scotti e Martelli con Mancino e Conso (e il direttore delle carceri Niccolò Amato con Adalberto Capriotti, suo uomo di fiducia), contro i quali poi si avvierà il processo Stato-mafia (Capriotti si è rifiutato di rispondere). Nel governo anti-Berlusconi di Lamberto Dini i giudici Brancaccio e Mancuso. Il quale, dopo un voto di sfiducia alla Camera nel 1995, non vorrà dimettersi, suscitando una quasi crisi di governo - il presidente del consiglio non può dimettere un ministro, può solo dimettersi lui, facendo cadere tutto il governo.  

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