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venerdì 1 giugno 2018

La prima donna della storia del computer - anche il primo uomo

Scommetteva sui cavalli – un vizio (oggi ludopatia) che la costrinse a impegnare più volte i gioielli, e la emarginò socialmente. Ma fu l’unica cosa che ebbe in comune col padre, lord Byron – che peraltro non scommetteva se non sulla sua vita: un’eccentricità tra le tante, folle. Per il resto  la figlia della mamma, Annabella (Anne Isabelle, “Annabella”) Millbanke.
La madre è la nobildonna da cui Byron divorziò pochi mesi dopo la nascita di Ada – non per un’altra donna o un’altra storia, così. Annabella stava dai suoi genitori, Byron con la sorellastra Augusta, e Annabella fece circolare la voce chela  abbandonasse per una relazione incestuosa con la sorella. Byron emigrerà, e non cercherà mai né Annabella né la figlia Ada. Se non in punto di morte, in Grecia, il 19 aprile 1824 – aveva solo 36 anni.
Sola e non bella, Ada Lovelace sarà un genio del calcolo. Pioniera dell’informatica, oggi accreditata “inventrice” del computer, ben un secolo e mezzo prima del primo prototipo.
La bio della figlia è anche un modo per (ri)parlare di un dimenticato poeta e personaggio. Padre reprensibile, ma in un matrimonio imposto. Dai debiti e da una suocera cacciatrice di titoli. Con una donna matematica e teologa, pudica, frigida e pedante - “Tra noi non c’era neanche una scintilla d’amore”, scriverà il romanticissimo poeta. Ma soprattutto si legge come un quadro quasi inedito dell’Inghilterra pre-vittoriana, in piena rivoluzione industriale, ribollente di energie fino alla spregiudicatezza, senza i corsetti e le stecche del conformismo che la avviluperanno.
Seymour tira Annabella, donna molto impegnata socialmente, fuori dal cliché della rigida beghina. È una donna che pure ebbe un rapporto non casuale con l’uomo forse più mercuriale dei suoi anni. E seppe stare dietro a una figlia geniale, disastrata sul piano personale, tra follie e malattie – morirà anche lei a 36 anni, di cancro.
Ada è la prima donna della storia del computer, e anche il primo uomo, il primo ideatore, Ada Augusta (dal nome della “ziastra”) Byron. A 21 anni sposata al conte di Lovelace, dal quale prese il nome. Tenuta costantemente in urto contro la memoria del padre dalla madre, se ne liberò col matrimonio. Prendendo rapporti con la figlia di Augusta, secondo la madre sua sorellastra, e con la sorellastra, questa accertata, figlia di Caire Clairmont, la sorella di Mary Clairmont Shelley (“Frankestein”). La malattia che la condurrà alla morte la obbligò, controvoglia, alle cure e al controllo della madre.
Non una vita felice, ma piena di interessi. A lei si deve l’idea che un computer deve essere  programmabile. Traducendo nel 1843 un articolo di Luigi Menabrea sul “motore analitico” di Charles Babbage, Ada lo arricchì di una serie di note, tra le quali il primo algoritmo inteso a far funzionare una macchina. Cioè il primo programma di un computer. Al quale peraltro, nelle stesse note, predisse la possibilità di un uso più esteso che le quattro operazioni aritmetiche.
(Luigi Menabrea, allora trentatreenne, è lo stesso Federico Luigi Menabrea che sarà generale e presidente del consiglio di Vittorio Emanuele II dopo Rattazzi, il terzo dell’Italia unita, primo conte Menabrea, primo marchese di Valdora. Savoiardo di Chambéry, si era laureato ingegnere a Torino, con dottorato in matematica applicata. Un’altra soria-periodo che andrebbe riraccontata – siamo fermi a Cavour, e ancora…).
Miranda Seymour, In Byron’s Wake, Simon & Schuster, pp. 550 € 28,50

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