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domenica 27 maggio 2018

La favola del cinema nel deserto

Un gioiello. Passato inosservato ai critici – ma vedono veramente i film di cui parlano? – resterà come un cult. Un caso eccezionale di cinema sul cinema. Una serie di immagini da cineteca: da alienazione sotto il gazometro a Roma, da favola in Armenia, tra la neve e la nebbia, da iperrealismo nell’albergo vuoto nel deserto. E un cast tutto sempre nella giusta misura, in ogni immagine, ogni battuta: Battiston il professore, Bobulova l’affarista, Shulha la sua longa manus locale, Amendola elettricista-tecnico delle luci, D’Amico la sgallettata, Argentero il fumato.
Un traffichino diventato eurodeputato s’inventa un film per truffare sui finanziamenti dell’Unione europea: il soggetto si presta, di un professore di storia al liceo, trattandosi un genocidio, di una minoranza. E la location è ottima: un paese remoto, l’Armenia, dove si potrà fatturare molto, che è la sola cosa da fare. Risparmiando sui costi: la troupe dovrà costare poco o nulla. Un produttore senza film assolda i primi disgarziati che gli vengono a tiro,  e per risparmiarsi la fatica li fa accompagnare da una specialista in fatturazioni false.
Potrebbe essere “Shining”. Ma l’albergo isolato sotto la neve diventa un luogo di ritrovamenti. Tutti diventano belli e buoni, per equivoci o inconvenienti. E il film che non possono fare lo fanno per gli abitanti che a mano a mano si presentano, brutti, sporchi, poveri, come a una vecchia “Corrida” di Corrado. Il sogno dello sdentato che avebbe voluto fare Gagarin è subito esaudito.  E così ogni altro, la ballerina, classica, il Ciranò con la luna…. L’Hotel Gagarin, remoto e grigio, implode in un fuoco d’artificio della fantasia. Quando l’ambasciata italiana organizza il rimpatrio, il mondo resta indietro.
Simone Spada, Hotel Gagarin

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