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giovedì 2 maggio 2019

Lo Stato mafia fa pietà, salviamo i procuratori

La colpa non è della mafia, è dello Stato, è tesi del mafioso Vito Ciancimino, del suo memoriale “Le mafie”, che il partito degli accusatori celebra nel suo sito, ioSo.info. Lupo lo tratta con sufficienza: “Si tratta di un dattiloscritto, che trovo riprodotto sul sito ioSo.info” (il sito non c’è più, o è inaccessibile a google). Ma che dire di un atto d’accusa contro l’Italia tutta, ministri vecchi e nuovi, qualche presidente della Repubblica, Scalfaro, Ciampi, Napolitano, e mezza arma dei Carabinieri, che si basa sul sentiment di un mafioso? Disinvolta e terribile, è questa accusa, il  processo Stato-mafia, che Lupo e Fiandaca, lo storico accreditato della mafia e uno studioso eminente del diritto penale, si applicano a contestare in due saggi. Accurati, e perciò patetici.
Il libro è del 2014, prima delle condanne annunciate in corte d’assise dal giudice Montalto. Letto oggi, all’apertura altrettanto teatrale del processo d’appello, sa di impegno inutile. Lo storico è prudente, il giurisperito  preciso, quasi pedante. Mentre la mafia è scomparsa a Palermo in questi quindici anni di processo allo Stato, dopo la cattura di Provenzano – il processo si trascina, tra interviste, saggi, libri compiacenti, comparsate tv, campagne elettorali e capi d’imputazione assortiti, da oltre quindici anni. Se non marginalmente, per le vendette solite tra affaristi. Non si cerca nemmeno Messina Denaro, il superlatitante, che può vivere, probabilmente prospero, tra Palermo e Trapani.
Il lavoro è ammirevole. Lo storico deve sorbettarsi una documentazione prodotta da “pentiti”, da mafiosi furbi – testimoniano solo “per sentito dire”, in date imprecisate, non si sa mai che i giudici cambino. E da giudici che non sanno quello che dicono – al meglio non sanno.  Il giurista deve spiegare, minuzioso, per molte pagine, “il valore irrinunciabile, per uno Stato, del garantismo penale”. Per uno Stato di cui anche i giudici fanno parte. Ma la sostanza, la verità della cosa, è che col processo Stato-mafia da quindici anni non c’è più mafia a Palermo-Trapani, larea a più alta densità mafiosa. E questa verità nel libro non c’è.
Lo sforzo di Lupo e Fiandaca di contribuire alla “verità del processo” non può nascondere la teatralità del dibattimento in corte d’assise. Che si rifletterà in condanne, dodici anni per il generale Subranni e il colonnello ora generale Mori, otto per il maggiore ora colonnello De Donno, cui nessuno crede - il giudice che le ha comminate, Alfredo Montalto, si giustificherà con una sentenza di 5.200 pagine….
La giustizia ha riti suoi a Palermo. E viene in maschera. Nel libro la “verità della cosa” non c’è perché è un tentativo, vecchio stile ancora nel 2014, di recuperare alla sinistra ragionevole quella che si ritiene una sinistra estrema. Due saggi accurati, come più non usa, ma oggi patetici, per la stazza degli autori. Patetico che nel 2014 si scrivesse ancora in questa ottica: c’erano i governi Pd ma come non vedere che erano minoritari, e sorpassati. Che l’aria, anche a sinistra, era all’avventura, al liberi tutti.
Giovanni Fiandaca-Salvatore Lupo, La mafia non ha vinto, pp. 161 € 12

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