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sabato 4 maggio 2019

La stupidità è contagiosa - imbattibile

Lo stronzo che vi confronta vuole fare di voi uno stronzo. O è lo stupido? Un saggio che si colloca nel grande letto della stupidità, dopo Cipolla, Musil. Jean Paul. Anche se l’autore ne fa un fenomeno soprattutto aggressivo: tanto più uno\a è con tanto più è aggressivo\a. Con non ha l’equivalente in italiano - sarebbe coglione, ma qui è un attaccante di sfondamento, non un centrocampista svagato. Proposto come “creatura maligna”, quindi uno “stronzo” in italiano, benché non codificato dalla Crusca, a metà tra lo stupido e lo scorretto, sempre comunque dannoso.
La stronzaggine Rovere rileva vasta e diversificata. Ma soprattutto di due tipi. Quella pubblica, delle società di servizi che “offrono” solo disservizi, e dello Stato che in tutte le articolazioni s’impegna a renderci la vita impossibile. E, di più, quella di lui\lei nel rapporto quotidiano, di coppia o di lavoro. Più insistente, anche cattiva, la trattazione di quest’ultima: l’impressione è che Rovere, quarantenne “scrittore e storico della filosofia”, già a Magistero a Lione, ora alla Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro, abbia di mira uno o più casi di quest’ultima natura. A un certo punto è anche questione di una preside particolarmente stronza. Ma più di chi vi raggira le carte in tavola, esercizio effettivamente distruttivo, senza fondo.
Presentato, anche graficamente, come un divertimento, tra lo scherzoso e il surreale. Come gli altri testi canonici sulla stupidità, con “humour, benevolenza e saggezza”, e come “una nuova etica per pensare e curare questo flagello del nostro tempo, malattia del collettivo e veleno delle nostre vite”, procede come un’invettiva, sviluppato da Rovere seriosamente, con cipiglio. Lo spunto sardonico - ubuesco, rabelaisiano - non manca, ma sopraffatto dal risentimento. Contro le varie tipologie di stronzaggine, fino a “un con di sistema”, che Revere vuole “chi non si preoccupa di coerenza, e che, invece di avere un sistema di valori differente dal vostro, ciò che sarebbe interessante, ha per valore di non avere alcuna logica, altrimenti detto di essere del tutto incoerente”. Insomma un lui\lei nato per amareggiarvi la vita.
La parte centrale sottende sottende esplicitamente un fatto personale: “Ai cons non gliene frega di voi. Non soltanto non hanno rispetto per voi, ma soprattutto non vogliono tenere conto della vostra esistenza. Non vi considerano.  Il loro più grande desiderio è di fare come se voi non esisteste… Ai loro occhi siete nulli e non avvenuti… Questa esperienza, vissuta qui, sotto il mio proprio tetto, mi ha aperto, senza esagerare, uno dei baratri più vertiginosi della mia vita”. Un solenne, ribadito, ripetuto, ripetitivo, atto d’accusa. Una sorta di lavacro, liberatorio. Perché non c’è altro rimedio possible: sì la diplomazia, sì la comprensione, sì l’ascolto paziente della sua narrazione, la rappresentazione che ama di se stesso, ma il con non lascia scampo.Un risarcimento, come di una persecuzione – “I cons adorano colpevolizzare gli altri”. Senza reazione possible: “Quando fate la morale a uno stronzo, gli parlate un dialetto che non comprende”.
“Sermone” è la parola più ricorrente – la morale, la predica. “Il sermone è dello stronzo. Ma al fine di indurvi a sermoneggiare pure voi.” Ma si va anche oltre il caso personale, il rapporto di coppia.  “Per non farne uno di se stesso” è il sottotitolo. È  per questo un libello, feroce. Più che una disamina filosofica come di  proposito: esaminare la stronzaggine in quanto tale, fenomenica, fattuale, senza “intellettualizzarla”, nelle sue forme pratiche, che si dicono “l’opinione, i pregiudizi, l’orgoglio, la superstizione, l’intolleranza, le passioni, il dogmatismo, il pedantismo, il nichilismo, etc.”
Le conclusioni sono preliminari, in tre canoni: “Si è sempre il con”, lo stupido, lo stronzo, “di qualcuno; le forme della stupidità sono in numero infinito; il con principale si trova in noi stessi” – quello cioè per cui la stronzaggine può fare presa. Si parte con una messa in guardia.
La stupidità è contagiosa, inevitabile, senza scampo: “Gli stronzi ci sommergono,” specie se “vogliamo vivere lontano da loro”. Sono “come le sabbie mobili”: “Più vi dibattete per sfuggire allo stupido-stronzo, più aiutate la nascita di uno di essi – in voi”.  Ma solo a  distanza ravvicinata, sembra di capire: “La stupidità non ha spettatori, solo complici”. E più di tutto, a questa distanza, contro il\la lui\lei della coppia.
“Non lottate contro l’emozione, svuotatela” è la difesa consigliata. Altrimenti “l’impotenza genera il dovere”, e uno resta impiccato all’albero che ha cresciuto: “La postura moralizzante di fronte agli stronzi riposa su un sermone implicito,  che questo sermone comporta una falsificazione, e questa falsificazione vi condanna all’insoddisfazione”. Insulti o comprensione non portano a nulla.
Una “ricerca in etica interattiva” è il proposito. A fini di prevenzione, contro l’avvitamento inevitabile:  “Ogni connerie genera una connerie reciproca” – la stronzaggine è una provocazione. Uno studio sulla “postura moralizzante” dei rapporti personali. Con poca aria. Specie nella conclusione, irritata, nervosa – da trauma non disinnescato – in quattro tassativi capitoli: “Perché gli stronzi preferiscono distruggere”, “Perché governano”, “Perché si moltiplicano”, “Perché vincono sempre”. Ogni titolo una dozzina di pagine di ejaculazioni.
L’unica difesa è asserragliarsi: il finale è un fuoco di fila da assediato rassegnato. Rischioso. Perché tanto potere ai cons? “In effetti, noi non abbiamo senza ragione un desiderio teoricamente perverso di sottomissione”. E guai a far ricorso alla morale: un suicidio. Ma accettare l’assedio non è una sconfitta? Per di più professandosi superiori – che caduta nella stronzaggine-stupidità. Insomma, non c’è rimedio.
Maxime Rovere, Que faire des cons?, Flammarion, pp. 204 € 12

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