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martedì 11 febbraio 2020

Secondi pensieri - 409

zeulig
Derrida – O della dimensione ludica della filosofia. Si può riflettere per giochi (di parole), concatenazioni, scomposizioni, ricostituzioni, e per suoni e tonalità (omofonie, cacofonie), sciarade, affermazioni per interrogative negative? Per ribaltamenti più che per affermazioni? Evidentemente si può. Con che effetto? Una messe abbondante attraverso l’asistematicità. Come contrapposta alla sistematicità.
Una metodologia più o meno produttiva non è dato sapere, il pensiero non si addiziona.
La conoscenza è una tela di Penelope? O meglio una tovaglia fuori misura, che cade da tutti i pizzi? Ingombrante?  

Diavolo - “Astuto e maligno” lo dice san Paolo che ne è l’inventore, benché il male non conosca freno. Avrà disposto per questo di cancellarsi, la territio verbalis prendendo beffardo a prestito dagli Inquisitori, la rimozione verbale: nel Novecento del suo trionfo ha infilato la propria rimozione, è un secolo che non ci sono più diavolerie nel mondo. Tutto, tutto il male, è ora technicality,  anzi algoritmo, con un grosso lento lavoro dietro di dematerializzazione e asintotizzazione.

Filosofia – Brexit, sovranismi, populismi depreca il filosofo Floridi (“la Repubblica, 5 febbraio), senza chiedersi come né perché. Dice che sono colpa della filosofia, che non se ne occupa. Ma lo dice allo stesso modo come lo dicono i media, che non analizzano, solo stigmatizzano – o plaudono. E non si capisce: la filosofia dovrebbe occuparsene per deprecare questi fenomeni, o per spiegarli, spiegandoseli – magari anche deprecandoli? Da che lato è il deficit conoscitivo?
La funzione critica della riflessione è rimasta ancorata all’impegno. Nella forma perfino rigida, irreggimentata, dell’agitprop, bel al di là della “libertà nella responsabilità”, fino alla quale si impegnava Italo Calvino  - che però era, lui stesso lo sapeva, “moralità nell’impegno”, un impegno morale, politico. Una categoria ardua, anche nella sua stagione – Gramsci era prudente in materia. Nello stesso Sartre che la teorizzava e la praticava ha prodotto guasti notevolmente superiori – basti il sovietismo – ai benefici. Sempre a margine della ragione critica.

Identità – È isolana? È più forte nelle isole, in Inghilterra come in Sicilia o in Sardegna – e anche gli Stati Uniti si possono considerare, benché continentali geograficamente, isolani, avulsi dal contesto nel quale si sono localizzati e di cui hanno distrutto ogni connotato, nonché nello stesso continente che li ospita.
Ma nelle isole poi si sottodistingue. Un inglese non è uno scozzese, tanto meno un irlandese. Un texano non sarà mai un californiano, o un newyorchese. Anche la Sardegna è divisa, in lingue e culture, se non in tribù. Mentre la Sicilia, la regione italiana più caratterizzata e isolana, è stata il melting-pot italiano per eccellenza. Ricca, di acqua e sole, e poco abitata, ha avuto i fenici, molti greci, gli arabi e i berberi, i normanni, che hanno introdotto molte maestranze “lombarde” (anche di Lomellina e Monferrato, e dell’Appennino ligure), molti toscani con gli Svevi, e la poesia siciliana, e naturalmente aragonesi, catalani, valenciani. Più gli spagnoli di Carlo V, che non si sono mischiati però hanno comandato. Che cos’è la sicilianità (la sicilitudine si può capire, è una nostalgia)?

Minoranza – È la condizione, personale e sociale, più protetta nel’età dei diritti. Donna, nera, lesbica, così la romanziera americana Alice Walker carica la protagonista del suo romanzo d’epoca “Il colore viola”, per dire sfigata in quanto vittima: perseguitata dai bianchi in quanto nera, dagli uomini neri in quanto donna, e da uomini e donne di ogni colore in quanto lesbica. Indirizzandosi, in forma epistolare, a Dio per comprensione e protezione. In realtà protetta da questa condizione - anche da una valutazione critica del romanzo-saggio di cui è attrice.
Le maggioranze, di ogni tipo e quantità (nazionali, etniche, religiose, culturali, produttive, etc.) si trovano nella condizione non di dover concedere qualcosa, poco o molto che sia, in base ai criteri basilari di eguaglianza e giustizia, ma di doversi difendere. È qui la radice della regressione politica, il fenomeno che si indica col generico plurimo populismo, in Europa e in America come in Asia, tra i caucasici e gli asiatici come tra gli africani.
La società si vuole compatta, benché articolata. Generosa, comunque giusta, con le minoranze, ma non da esse disarticolata. Non in forme assolutiste. La minoranza è peraltro diffusiva: germinativa, anche partenogenetica. Da questi due presupposti si genera il movimento anti-minoranze, come di difesa.
La combinazione di incondizionalità e moltiplicazione è inevitabile che generi una difesa, maggioritaria, e quindi più o meno esclusiva. Si celebrano, negli Stati Uniti e altrove, processi non sulla base di una colpa, o responsabilità comunque accertata, ma di diversi assetti, razziali, sociali, sessuali, perfino di età, che potrebbero\dovrebbero determinare una colpa, a carico del più forte, o meno debole.

Opinione pubblica – Scontata “l’insincerità sistematica delle pretese fonti d’informazione e dei leader dell’opinione pubblica”, Thorstein Veblen, “Teoria dell’impresa”, 1899, la dice conservatrice: “L’insincerità dei giornali sembra essere, nel complesso, di tendenza conservatrice”. Anche quando si vogliono progressisti. Nel presupposto che il “progressismo” sia per la verità – il bene, l’ottimo.

Rimozione – Perché non sarebbe parte dell’istinto di sopravvivenza, piuttosto che esercitarsi, più o meno subdolamente, come pulsione? Non storicizzabile, nell’individuo come nel gruppo.
Una Grande Storia delle rimozioni porterebbe a questa conclusione. Degli imperi come delle decadenze, delle chiese, delle nazioni, delle identità, tribali, etniche, nazionali, sociali. Si è fatto grande caso (sintetizzato da W.G.Sebald nella “Storia naturale della distruzione”) della rimozione radicale che la Germania ha operato, con moto inconscio (non detto) collettivo, della sua propria distruzione nell’ultima guerra, per quanto radicale e luttuosa. Alla mancata elaborazione del lutto  sovrapponendo anzi un’operosità instancabile, benché in condizioni di deprivazione estreme. Una rimozione a fin di bene.
La stessa Germania offre il caso opposto, della mancata rimozione. Successe nella precedente sconfitta, nella Grande Guerra, e portò a un revanscismo esasperato.   

Storia - La storia è avvincente dopo Lessing, diventando, per essere educatrice del genere umano, superflua quando l’uomo è maturo.
O comincia con l’accesso dell’uomo alla maturità, e allora apre una prospettiva infinita: scrivere la storia è approssimare la perfezione – la fine della storia – approssimando la verità. Avventura appassionante, rigettare la verità per consentire all’uomo di vivere, in qualche modo.

Verità - Importa a Dio, e da questo punto di vista è nota. Per l’uomo è un perturbante, dirà Freud, impedendo la tolleranza, che vuole ragione, e ne svia lo sviluppo.

zeulig@antiit.eu

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