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mercoledì 19 ottobre 2022

Pasolini insegue l’osceno

“A me non c’era altro amore che importasse che quello della carne” - “Atti impuri”, 84. I primi due “scartafacci” di Pasolini pubblicati postumi, nel 1982. I primi di una serie ormai corposa di racconti di sesso. A connotazione autobiografica fortemente voluta, sottolineata: in entrambi i racconti il ventenne adulto, maestro, poeta, rispettato, concupisce con ardore illimitato ragazzi del contado, bruni o biondi, ne va in cerca, in bici, a piedi, ai bagni nel fiume, al ballo, al cinema. I due racconti sono del bisogno di rimorchiare, tra i venti e i venticinque anni, per un susseguirsi di contatti fisici, o bramiti, di pene di amore corporale.

La cosa più interessante è che sono testi del 1950, o poco prima - così assicura Concetta D’Angeli, che ha messo a punto i dattilo-manoscritti dei due racconti e ne ha curato la pubblicazione. La biografia di Pasolini ne è quindi in parte rivoluzionata: il processo per pedofilia in Friuli, la rottura col padre, il passaggio (la “fuga”) a Roma con la madre. Pasolini non era disperato e nemmeno impaurito: passa dalla campagna a Roma per darsi un’altra dimensione. A Roma, racconta in “Atti impuri”, è già stato per farsi un’idea, a maggio del 1947. E una volta stabilito a Roma prova di tutto, anche l’erotismo spinto di questi racconti. Che, come pare dagli appunti in margine, avrebbe voluto anche pornografici, come farà poi, da ultimo, con “Petrolio”. Libero pure dal padre, che ricorda in “Atti impuri” per quello che era, senza astio né irrisione – alla data 6 giugno 1946. E in “Amado mio” alla scena finale al cinema di Caorle, ammirando due efebi locali, “uno biondo… l’altro bruno”, di questo vede “il capo grosso, la bocca rotonda e mal disegnata, deliziosamente simile al padre…” – con i puntini di sospensione. Della madre accennando, in felice sintesi, “la sensibilità” – o anche: “Mia madre è troppo nativa, ingenua”. Con spazio perfino per la fede religiosa, perduta ai quindici anni, ora ritrovata, seppure in forme speciose. L’accusa di pedofilia, che lo avrebbe costretto alla fuga, è ridotta alle chiacchiere astiose di un pittore pazzo, che voleva distruggere gli affreschi delle chiese di Casarsa e Viluta.

Sul padre, sul punto della fede, si prolunga, fino a identificarvisi: “Mio padre, ufficiale, era alquanto indifferente alla religione, benché ci conducesse a messa tutte le Domeniche; egli non viveva e non vive di queste cose. Anch’egli come me (ma attraverso che divergenti cammini!) ha ridotto la sua esistenza a se stessa. In lui coesistono, è vero, delle sovrastrutture, e ci crede: l’onore, la nazione, la praticità ecc.”.

“Atti impuri” viene in in forma di diario. Nico Naldini nel 1980, quando pareva potersi occupare degli inediti, attesta che Pasolini teneva un diario, e ne ha pubblicato dei brani, che poi si ritrovano in “Amado mio”, in “Poesia e pagine ritrovate”. Un racconto dapprima costruito, poi, a metà, confuso, sotto forma di pezzi aggiunti, senza revisione né coordinamento: è il racconto dell’amore infelice e felice per un ragazzetto Nisiuti, che poi il narratore, a metà, abbandona, per “farsi” altri ragazzi, come capita.

Il protagonista senza nome di “Atti impuri” fa tutto quello che Pasolini faceva a Casarsa e Versuta: la scuola, la poesia, le sagre, i balli, i boschetti appartati liungo il fiume. Per un lungo tratto il racconto è anche, caso unico nella enorme produzione pasoliniana, dell’amica degli anni di guerra a Casarsa, la violinista Pina Kalz, sotto il facile adattamento in Dina: il romanzo, ricorrente nella prima parte, dell’infatuazione che lui non poteva corrispondere. E, anche questo caso unico, ogni tanto ricorre Guido, il fratello giovane partigiano ucciso da altri partigiani, con un tranello. Ma Guido ricorre incidentalmente, per la notizia della morte, per “i tremendi mesi del lutto”, per il lutto stranamente breve, per una messa in suffragio. In questo ultimo caso sacrilegamente: le pratiche con un ragazzo di cui non sa il nome lo hanno eccitato tutta la notte, dice l’io narrante, “sì che stamattina (una giornata finalmente splendida di sereno) mentre si celebrava una Messa nella chiesetta di Viluta in suffragio  di mio fratello nell’anniversario della morte, assistendovi non riuscivo a staccare da me quel volto, che mi colmava di una sfibrante dolcezza” – e continua: “Vivevo tutto nel mio ricordo troppo recente, nel contatto ancora fisico con quel ragazzo fino a ieri straniero, che mi era stato più vicino di quanto lo sia mai stata mia madre”.

“Amado mio”, racconto breve, meno della metà di “Atti impuri”, è un corpo a corpo con un quindicenne in una lunga estate lungo le rive del Tagliamento, a cui dà nome Iasìs, la ninfa nell’antica Grecia. Anche lui spesso trascurato per altri rapporti. Con un cameo memorable di Gilda-Rita Heyworth. E con una celebrazione di Caorle. 

In una nota affettuosa Attilio Bertolucci dice i racconti “due idilli, e insieme elegie, della gioventù”. No, semmai della pedofilia - Pasolini non sentì mai l’età (non ne ebbe il tempo?). Ma niente di elegiaco, non sono “Dafni e Cloe”: sono racconti del desiderio, carnale. Autobiografici, scopertamente, solo velando, poco, i nomi. Più interessante, e oggi documentabile, dopo le opere postume successive, sono i due racconti come parte di un progetto di Pasolini di scardinare gli interdetti. Tra questi l’osceno o il porno in letteratura, anche naturalmente nella specie gay. Un progetto non insistito ma ripetutamente alluso.

Tutto vi concorre in queste prime narrative, scritture del desiderio e dell’atto. Compreso l’aggettivo “kafkaesco”, che non c’entra nulla. E con l’insulto – lo scandalo aggiunto – di un paio di citazioni di Goethe in “Atti impuri” come rivolte all’amato, mentre sono due distici del poemetto “Erlkonig”, il lamento del padre amoroso sul figlio morente. In questa urgenza, ripetitiva, non c’è dolore né afflizione, neppure nei riguardi della mamma. Solo l’inquietudine di una sessualità insistente, insaziabile. Ma di godimento e non di sofferenza - di conquista. Si direbbe che Pasolini ricalchi i romanzi erotici libertini, convogliando sui ragazzi fantasie e iperboli dei libertini del Settecento ai danni delle dame. Ma non sembra il caso: i libertini sono l’unico riferimento che non cita fra i tanti. È come il cacciatore folle a caccia, senza dispiacere per la preda.

Pier Paolo Pasolini, Amado mio\ Atti impuri, Garzanti, pp. 211€ 15

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